Dostoevskij
F.Dostoevskij

di Mauro Marino

La luce dell’appuntamento, per il terzo frammento de i Demoni è quella d’un pomeriggio caldo. Non più solo questa volta, sono ammessi dieci spettatori. Ci aspetta un “esterno” (o un interno d’anima?), nella stanza foderata di cellophane in cima alla grande scala che su un ballatoio mostra una grande pittura, una città di mare con il suo da fare, forse Gallipoli…

Viene una musica, è Iggy Pop con un brano noto che ossessivo canta: sha la la la, lalalala, “The passeger”, l’avrete sentito chissà quante volte: “Io sono il viaggiatore e viaggio e viaggio, /viaggio attraverso i bassifondi delle città, / vedo le stelle venir fuori dal cielo,/ yeah il cielo splendente e vuoto,/sai, sembra così bello stanotte…”.

Lui, Nikolaij, il protagonista della narrazione dostoevskiana, “il suo animo è guastato dalla noia, da un’ironia malsana, dal disgusto di sé e del mondo, dall’incapacità di indirizzare in modo positivo il suo ascendente e la sua forza interiore”. L’abbiamo trovato che ballava, anzi saltava, come in una poga punk… che in quel destino nichilista va forse trovata la chiave di quest’epilogo. I piedi pestano la terra, l’affanno sale ed è sempre un incanto sentire un attore che si costringe alla recita dentro l’ostacolo del respiro, quel cercare d’acquietarsi per trovare via alla voce, che via via trova il giusto respiro, la pausa, la cedenza che distilla il senso.

Un terriccio umido, marrone intenso, quasi nero, copre il pavimento… l’odore è forte, acre. La scelta della Compagnia Crocco-Miele in questo ultimo atto della trilogia presentata – per Il teatro dei luoghi di Koreja – nelle stanze di Palazzo Tamborino-Cezzi smette l’ambientazione naturalistica dei due precedenti frammenti per una scelta di impianto più propriamente scenico, la terra chiusa nel quadrato della stanza, il cellophane sulle pareti, l’amplificazione a vista, il mixer audio, il cameraman alle spalle dei dieci del pubblico: è teatro.

Alessandro Miele protagonista dell’atto è imponente nel quadrato. Ha i piedi nudi, neri di terra come le mani, è vestito elegantemente, gli schizzi di terra sulla camicia rendono “pittorica” l’immagine complessiva… racconta di un incontro, di baci inaspettati, di un presentimento che diventa realtà. Fine tragica. “Andate ora” dice e riprende a ballare… Impassibile, aspetta che un nuovo dramma si compia. E’ lucido, consapevole, “non riconosce alcuna distinzione di bellezza fra il bene e il male e da tale confusione estetica è trascinato nel baratro etico”. Mi ricorda qualcosa di estremamente contemporaneo. A voi no?