di Mauro Marino

Palazzo Tamborino-Cezzi è luogo straordinario. Come promesso son tornato: il pensiero m’ha accompagnato per tutta la giornata. Questo essere spettatori “su appuntamento” avvince. Hai un impegno, il racconto è sospeso, torna… Nell’attesa mantieni puliti gli occhi, ti tieni al riparo, chissà che troverai…

Nella seconda visita, l’Ottocento – I Demoni furono pubblicati da Dostoevskij per la prima volta in volume nel 1873 – m’è venuto incontro intero. Non c’era il vuoto, l’abbandono scorticato, del primo frammento. Non c’era la solitudine di Marija… non c’èra l’astrazione metafisica densa di dolore, catturata dal buio appena rischiarato dalla fioca luce della candela.

In quell’Ottocento ci sono entrato, una grande stanza colma di libri, quadri, due poltrone. La mia di spalle alla porta d’ingresso, a lato un pianoforte. Ho atteso seduto, d’un tratto mi accorgo di lei, Liza è apparsa. M’è venuta incontro lenta, vestita di nero, i piedi nudi, le braccia stese lungo il corpo. La guida che m’ha accompagnato m’ha detto che eravamo in casa di Nikolaj, anzi di più, io ero Nikolaj stesso. Avevo aperto la porta a lei la sera prima, adesso forse è l’alba. Liza è la mia amante… è lì per lasciarmi.

Ha scelto! Quell’amore, anche s’è infranto, anche se alla fine, io l’ho sentito. Carico di corpo, carico di sensualità, carico di abbandono… carico di desiderio, desiderio di libertà, di riscatto. Quella sceglie in questo frammento Liza. Sceglie d’andar via ed è straordinario sentirsi sfiorati nell’uscita di scena. L’attrice ti passa accanto e, il suo riflesso nella coda del pianoforte, te la lascia guardare di spalle mentre s’allontana… Sei solo, ancora una volta solo a decidere che fare… Poi i passi t’avvertono, ti alzi, con la coda dell’occhio ancora cerchi e la vedi, Liza, ancora di spalle, in attesa di un nuovo incontro…