di Valerio Daniele –

Non scrivo per generare una polemica. Scrivo solo perché mi capita di sentirmi solo, mi è capitato con palese e vertiginosa chiarezza, dopo la visione di questo frammento video che vi ripropongo.

https://www.youtube.com/watch?v=SYq8aVceT3Y

Certamente molti di voi l’avranno già visto mille volte. A qualcuno però sarà certamente sfuggito.
Io non ho conosciuto Rina Durante, così come non ho conosciuto Antonio Verri o Francesco Saverio Dodaro o Salvatore Toma, nessuna di queste intelligenze color del grano, ispide, vivide, puntute. Nessuna. Mi sono sfuggiti tutti. E mi mancano. Terribilmente.
Vagheggio come in un sogno la possibilità di riferirmi a loro, di fargli decine, centinaia di domande su cosa stiamo vivendo oggi, sul senso della musica oggi, di quella popolare, di quella colta, dello spettacolo, della scrittura, della parola. Ma non posso. C’è uno strato di terra che mi separa da loro. Un ghiaccio inesorabile, un destino di solitudine.
Resto qui a chiedermi: sono solo io a pensare che ancora la musica, nonostante tutto, nonostante quello che vedo e vivo tutti i giorni della mia vita, abbia ancora un cuore, un senso profondamente politico, un vettore civile?
Credo solo io – e quei pochi, pochissimi, che ri-conosco – che suonare una cosa, una qualsiasi cosa, davanti a un pubblico abbia sempre, inevitabilmente, a che fare con un modo specifico di pensare il rapporto fra l’uomo e la società, di immaginare e proporre vie differenti o convenzionali di vivere la vita e il mondo?
Credo solo io che per librarsi su quella freddezza dell’ascolto “in-educato” basterebbe solo dire il “proprio nome” senza veli e mettersi in ascolto di quella voce sottile e trasparente che ogni pubblico possiede?
Dobbiamo abbandonarci per forza, prescrittivamente (ed, in questo caso, chi, CHI ce lo ha prescritto?) a vedute (e NON visioni) spettacolari convenzionali, sempre educate ed edulcorate, spesso mortuarie, svilite, decolorate, comode, carezzevoli?
O possiamo ancora immaginare un cervello tramortito, un ascia sulla testa, un fendente in mezzo al fegato, un cazzo di pensiero, di domanda, un criterio fantasmato, senza figura, oscuro, pungente, affilato, amaro, capace di uno sguardo abissale, capace di condurci nell’altrove? Possiamo? E cosa stiamo facendo noi, a riguardo? Cosa sto facendo io? Guardami negli occhi. Cosa stai facendo tu, artista? Non abbastanza.

Valerio Daniele