Al paese natìo, le olive sono quasi mature
di Rocco Boccadamo –
Marittima è un piccolo centro, un puntino appena visibile sulla cartina e, però, come insegnato dal maestro in seconda elementare, si colloca esattamente all’altezza di una coordinata geografica indicativa e facile da ricordare: il 40° parallelo o, volendolo indicare con precisione scientifica, a latitudine nord 39,98747.
L’immaginaria linea, a numero tondo, del mappamondo intersecherebbe proprio il largo del Convento, che, tanto tempo fa, fungeva da campo per giocare a pallone.
Ha radici prettamente contadine, Marittima, del resto al pari di tutte le località disseminate nel Basso Salento, sebbene, attualmente, di tali ancoraggi è rimasto ben poco. Le origini e i tempi trascorsi, intessuti di vicinanza, contatto, consuetudine con la terra, basati sulla coltivazione dei campi, scanditi dalle stagioni e dai calendari delle varie attività agricole, erano sinonimi di vera e autentica civiltà, giustappunto di civiltà contadina. Un ambito, uno stato, un insieme di grazia, che, fortunatamente, non viene meno col succedersi delle generazioni, sopravvive alle epoche.
Così che, pur con il richiamato ridimensionamento dell’agricoltura, a Marittima permangono ancora sintomi, segni della civiltà contadina e, fra essi, uno speciale momento di fulgore e di luce si nota in concomitanza della raccolta delle olive.
In una fase prevalentemente segnata, anzi marchiata, da fuochi fatui che durano un attimo, è uno spettacolo assistere alla preparazione della scena, dell’evento, all’attesa ansiosa della maturazione dei minuscoli frutti ovali tra il verde e il viola. Innanzitutto, le superfici sotto le piante sono nettate e lisciate alla stregua di delicati e lucidi pavimenti domestici, dopo di che, allo scopo di evitare il diretto contatto dei preziosi frutti con il terreno e anche di poter riporre più agevolmente, nelle ceste e nei sacchi, le olive cadute, si passa a stendere sulle medesime aree, ricoprendole con millimetrica precisione, grandi teli a rete di diversi colori.
I campi, le distese di alberi vecchi e giovani dalle fronzute chiome argentee, danno una volta tanto l’idea di grandi e sontuose dimore, con sale, scaloni e ambienti d’ogni genere ricoperti da preziosi tappeti.
Sì, un bell’allestimento che si rinnova puntualmente ogni anno, a cui gli attori protagonisti non riescono a rinunciare, malgrado, spesso se non sempre, la non convenienza, in termini economici, del prodotto ottenuto: ma, raccogliere le olive e farsi il proprio olio è un precetto fissatosi nell’animo.
Anche per un non addetto ai lavori e quindi semplice osservatore, assistere è piacevole e suggestivo. Alle sequenze in tempo reale, si aggiungono, anzi ritornano alla mente, immagini passate: stuoli di compaesane, da appena ragazzine a donne anziane, che, in questo periodo, partivano da Marittima, con poche e povere cose addosso e appresso, salvo l’irrinunciabile e indispensabile strumento di lavoro denominato pusceddra (dal termine francese pochette), con destinazione il fieu, anche questo francesismo per dire feudo, ovvero un vasto territorio di piantagioni dove restavano a raccogliere le olive per due o tre mesi.
Fra le mete di dette migrazioni di ieri, sovviene la masseria Monteruga in agro di San Pancrazio Salentino.
Non c’é che dire, si rivela senz’altro a buon mercato l’osservazione che si tratta di ricordi, di cose andate, eppure i ricordi, se positivi, rendono più vero e fecondo il presente.
Intanto, l’incrocio ideale, in un pomeriggio variabile, fra atti di tempi andati e di oggi, è suggellato e allietato per opera di un sorridente e sconfinato arcobaleno che si pone innanzi allo sguardo, sormontante appieno la stupenda collinetta al di sopra e ai fianchi della quale trovasi adagiata Castro, Perla del Salento, e abbracciante anche l‘amato Canale sino alle sponde dei Balcani.
8 novembre 2020, Rocco Boccadamo
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