di Vincenzo Ampolo –

Un individuo guarisce quando
scopre il mito
che sta mettendo in scena

(J. Hillman)

1-Teatro interno (Prologo)

Le donne si ritrovano a scadenze regolari, come in un incontro di preghiera.
Sulla piazza, nel cuore della città, è situato un vecchio ospedale affiancato da una piccola chiesa che sembra guardare lo spazio sacro dell’incontro, tra gatti sonnacchiosi e piccioni ballerini.
Dentro è tutto un silenzio che accoglie i corpi delle donne. Le parole riempiono il vuoto e si trasformano in rumore di copertura che dissimula l’imbarazzo d’essere ancora catturate da quella strana tela di ragno.
Le donne arrivano con dei regali: cibo da consumare insieme; lavori stimolati dall’ultimo incontro, sogni e bisogni da condividere.
Gli abbracci vicendevoli rendono l’atmosfera tiepida e sensuale. Lentamente si forma il cerchio entro il quale le muse vivranno le loro arti. Mandala di rinascita, astronave d’universi sconosciuti, cerchio magico di un tempo senza tempo.

Il tessitore facilita il formarsi della tela. Maestro dei legami agisce senza agire, collegando e mettendo in relazione tempi, luoghi, persone e affetti.
Ci si lega e ci si slega, sciogliendo le resistenze e recidendo legami ormai inutili e dannosi.
Il microcosmo gruppale si libera lentamente dell’universo profano, dell’infantile dipendenza e, collegandosi con le immagini di un eterno inconscio collettivo, esprime l’essenza individuale dei singoli vissuti.
Le storie vengono espresse, elaborate, ri-vissute, ri-scritte e infine rappresentate.

2- Il testo (rappresentazione)

Nella tessitura del testo l’analista lascia il posto alla creatività del femminile affinchè si compia l’opera da rappresentare:
“Un faro lentamente illumina il centro della scena dove si trova una piccola piattaforma circolare sulla quale è situata una donna. L’età è indecifrabile.  Ha un lungo vestito bianco e un elmo sulla testa.

La donna comincia a parlare:
Io sono la tessitrice.
Non so da dove vengo, né chi mi ha dato questo ruolo.   
Il mio compito è dare senso ai sogni delle donne.  Io tesso i loro desideri che sempre si intrecciano con le loro paure.  Per questo sono condannata dal mio potere a partecipare alle storie che vengono sognate.

Pausa.

Poi indica con la mano una serie di corde che sono situate per terra in modo circolare intorno alla sua piattaforma.  Il cerchio di luce si allarga e fa vedere i raggi di queste corde.
Le corde appaiono tutte diverse, alcune nodose, altre fragili e sfilacciate, fatte di stracci o di metalli preziosi. Hanno tutte  colori diversi.  Alcune sono semplici, altre sono arricchite da oggetti o carte o altro materiale.
La tessitrice si abbassa e prende lentamente il capo di una fune. Comincia a tenderlo mentre dice:
Tocca a te per primo di prendere forma, sogno.  Ombra, fatti corpo.  Esci fuori alla luce della coscienza e dichiarati.

In penombra dal capo opposto della fune si sente un tramestio di piccoli rumori. Una voce timidamente risponde:

Ti racconto la mia storia. Abbi care le parole che dico:
il mio nome è Desi, sono nata con una grande stella sulla fronte e con gli occhi rotondi e luminosi.  Ero una bambina che amava ascoltare il silenzio. Nessuno si era dato spiegazioni di quella stella, molte ipotesi nulla di più. In realtà io ero una sirena, venivo da un mondo d’acqua e, per tutto il tempo della mia infanzia, ho continuato a muovermi come se vivessi nell’acqua. I miei occhi vedevano i contorni della realtà in modo diverso: tutto era molto sfocato.
A volte mi facevo rapire dal vento, volavo in alto, ma tutto questo rimaneva un segreto.

La tessitrice la interrompe, con un gesto allenta la corda poi le si rivolge benevola:
dimmi, ma c’era qualcosa che ti accomunava agli altri esseri umani?
Desi, con un sorriso risponde: Si.  C’era e c’è ancora: il piacere della scrittura della poesia e della danza.
Si sente una musica di sottofondo e Desi accenna passi di danza.  Improvvisamente la musica si interrompe, lei si piega su se stessa tenendosi la pancia con le  mani.  La tessitrice, preoccupata lascia cadere la corda per terra e si sporge verso Desi ma questa allunga una mano quasi per fermarla e dice:
un giorno che non ricordo, qualcuno di nascosto mi ferì la pancia e fu tanto di nascosto che io stessa non riuscii  a capire. Ne porto i segni tutt’ora. 

Si rialza quasi faticosamente, sostenendosi al filo della tessitrice che l’aiuta tenendolo teso. Riprende a parlare volgendo lo sguardo verso l’alto e quasi indicando con la mano un punto dello spazio:
La spirale viola!  (poi come se parlasse fra sé)  La spirale viola mi accompagna da quando la vidi impressa sul mio cuscino.  Un’impronta curiosa: saranno stati i colori del mio pensiero a dipingerla stanotte.
La tessitrice le chiede: dimmi qual’è oggi il sogno che mi chiedi di realizzare?
Desi: sappi, oggi so per certo di essere una sirena d’acqua di terra e di cielo.  Vivo di notte, protetta dalla luna e quando avrò curato la mia pancia ferita e recuperato le forze, voglio ritornare nei sogni degli uomini da cui mi ero allontanata.

Riprende la musica. Desi ritorna a ballare come seguendo un percorso a spirale…”(1)

3-Risveglio

Il sipario è aperto, le tende sono scostate e una lancia di luce si insinua nel teatro vuoto.
Nell’odore forte, lasciato dagli spettatori, danzano silenziosamente microcosmi di polvere.
Bisogna aprire le porte, far cambiare aria e mandar via i fantasmi che hanno popolato la scena e che ora si nascondono da qualche parte.
Ad uno ad uno i personaggi escono dalle porte laterali del teatro e si confondono con i primi mattinieri frequentatori del quartiere. La città si rimette in movimento, si ripulisce dalle scorie della notte e si prepara per una nuova giornata.
E tutto un rimettere in ordine ed è tutto un preparare… Ora si sente l’odore del caffè e delle tante dolcezze che stanno per essere sfornate.
Un piccione, nero e bianco, zampetta vicino ad una panchina dove è allungato un vecchio signore che sembra avere addosso tutto il peso del mondo.

Lui è ancora lì che dorme, un sonno pesante fatto di vino scadente e di stanchezza per una vita ingiusta e cattiva.
Provo a immaginarlo bambino, ma non ci riesco proprio, forse quest’uomo è sempre stato vecchio, è sempre stato stanco e infelice. No, mi dico, non è possibile, questo non è possibile.
E allora provo a immaginarlo giovane, con il vestito della festa e con gli occhi innamorati. Lei ha gli occhi di fuoco che sembrano chiamarlo, invitarlo a seguirlo dentro quel vicolo poco illuminato. E lì che lui ha scoperto il sapore dei baci e il piacere delle carezze. In quel vicolo, contro un portone, ha provato qualcosa di inesprimibile, troppo forte per lui, troppo difficile da controllare.
Dimenticare, dimenticare, meglio non pensarci più a quella storia maledetta…
Meglio volare via, insieme al mio piccione curioso, oltre questa piazza, sorvolando i tetti di questa città che sbadiglia, che si veste di colori e che cammina in fretta per paura di far tardi, ancora tardi, ancora troppo tardi.

Note:
Il secondo paragrafo del seguente testo è tratto da:
V. Ampolo – M.Cataldini In Tondo immagini intra-viste al femminile,  ed. I Quaderni del Bardo – Teatro, Lecce, febbraio 2017