di Marcello Buttazzo

Ancora vieni dal mare. Del mare porti le onde, la risacca, le bianche conchiglie di memoria, i marosi tempestosi d’amore. Ancora vieni dal mare. Del mare porti gli odori di vento, i sospiri leggeri, gli arenili di giorno. Vieni, ancora una volta, a trovarmi nel mio solingo castello. Incantato dai fantasmi del passato. Vieni da me, portami parole nuove e i tuoi occhi neri di cerbiatta, fondi come la luna. Vieni in rimembranze di gelsomini e rose bambine. In iride di donna viola, adamantina come i mari del Sud, con l’acqua dei laghi del Nord. Vieni e portami la pianura e la maestosità di catene imperiose. Corridori e colori, nei tuoi occhi castagna. Le risse del cuore sono pugilatori d’amore. I palpiti di giorno, voli d’uccelli pazzi di gioia, arabeschi di rondini anarchiche, libertarie. Cosa mi porti, fanciulla, se non un cielo di vero diamante? Cosa mi porti se non l’attesa spasmodica della notte e del suo tripudio frusciante di stelle? Vieni ora. Portami il tuo sorriso sereno e quel bimbo dalla pelle rosea, che assomiglia a te, e s’addormenta fra le tue braccia su un’altalena di sogno con le ninnenanne della luna. Ritorna, sole del meriggio, e traversami con penetrante raggio. Perché il tempo delle infinite attese si tinge d’ansietà e di volto giallino? Perché la ragazza maliarda è ancora un fascio di luce folgorante, esuberante, intrigante? Ritorna, sole del meriggio, la mia anima s’apre ai fulgori della bella, dolce illusione. Verrai? Dal mare, verrai? Presto scenderai sulla mia terra con limoni e arance? Verrai? Presto scenderai sul mio selciato di sangue con pistilli del desiderio, con giochi e stelle, con canti, sorrisi e pianti? Con bisbigli silenziosi mi racconterai le storie sussurrate? Quanto stupore di rosso papavero in fianchi di candore. Ricordi? Mi dicesti “amore” con carezze e mani. Mi dicesti: “Ascolta il mio tenero cuore”. E la purezza, le albe trasognate, le corse sfrenate, i crepuscoli screziati. E gli abbracci come onde marine. Effluvi e movenze di danza e di primavera sulla tua pelle alabastrina. Baci e baci. M’insegnasti la pazienza, la placida sera. Mi parlasti con parole convincenti della virtù, della bellezza della povertà. Ragazza con le gote belle, come una rivoluzione mai detta. Mi dicesti: “Guarda, l’umanità s’aggira per le strade”. L’umanità errante degli uomini con vesti stracciate, di disperati senza un tozzo di pane, di migranti feriti. Gli ultimi della terra con i ginocchi piagati e una colomba nel cuore. Oggi, nelle mie frenetiche notti, sono eternamente sulle tracce di te, donna che non esisti. Novembre s’adagia su indecifrabili crinali. L’anima vacilla. Tornerà ancora un’altra primavera ad infrondare gli occhi di eccitate fanciulle? Verrai tu a denudare il tempo? Verrà il giorno di istanti chiari? Oggi, la vita convulsa si perde in frammenti di nubi incomprensibili.

Marcello Buttazzo