di Marcello Buttazzo –

La strada e la sua gente. Quanta umanità per le vie, che fluisce ogni giorno. Ho sempre amato la strada e la sua vita pullulante di voci, di pensieri, di passioni. Nel 2008, avevo l’abitudine di spostarmi quotidianamente dal mio paese (Lequile) fino a Lecce. Arrivavo con la mia Fiat Uno e parcheggiavo nei pressi delle benzine del sottovia. Era un anno particolare. Ero avvezzo ogni giorno sistematicamente a fare lunghissime passeggiate per Lecce. Da Porta Rudiae, alla Chiesa del Rosario. Dal Fondo Verri al Duomo, fino a Piazza Santo Oronzo. E poi fino a Piazza Mazzini, traversando riposti angoli della città barocca. Osservavo una vasta e multipolare umanità. Sicché nacque una raccolta di versi, intitolata per “Strada”, pubblicata nel 2009 da Calcangeli Editore. Quanto amore, in quei versi, per la gente comune. Disegnai drappi scarlatti. Corpi opulenti, donne di rugiada. Una freccia conficcata nel costato insanguinato. È la vita, pensai. Prorompenti fiumi di porpora come impetuosi impulsi dell’anima, fitte lacrime di pioggia come insistititi piccoli dolori. La vita dei granai, dei quartieri assolati, degli amori persi a rate. La vita precaria, degli affannosi respiri. La vita che appare, fugge e si dà, nascosta dietro mantiglie di rosso vivo. Nella fontana di città, pescai pietruzze d’oro e cuori di leonesse. Di petali di rose adornai il giaciglio d’un amore in disuso malinconico e ferito. Il passero dell’oblio svolazzava fra le fronde verdeggianti e di ruggine. Non ricordavo più il passato. Fra strette feritoie s’involava l’amore tradito. In città, ebbro di sole, divorai occhi di fanciulle e il frumento di nuovi amori. Quante persone amorevoli incrociate in quelle passeggiate su e giù per il Corso principale. Già a Porta Rudiae, trovavo l’indiano meditabondo al suo banchetto di preziose cianfrusaglie. I giovani artisti s’accendevano l’ultima sigaretta. Un allegro viavai di gente, traversava la storica porta. I viandanti erano gemme di pane e fiammeggiavano la città.  Era autunno e il colore sfocato s’ammantava di sapori crepuscolari. L’amore stremato strappava raggi di sole al giorno e cantava nenie all’antica solitudine. Poi c’era Laura, occhi acquarello, madonna solitaria, Caravaggio sulla luna. Il Duomo maestoso si slanciava verso il Cielo, passanti frettolosi arabescavano la via di tenui colori. L’artista barbuto cantava un De Andrè d’amore e di lotta. Laura, leggiadra, inseguiva chimere e l’amore di sempre. San Giovannino e l’ariete d’un dolce novembre. Ad un angolino vedevo Chiara. Scorrazzare per il Corso in un giorno di festa e illuminarsi dei suoi occhi diamante. Al banchetto della LAV Chiara raccoglieva firme d’oro con indelebile inchiostro d’amore. Nei suoi capelli ondulati c’era profumo di gelsomini. Le sue cosce erano una sinfonia di violini. Le sue gambe rosa avrei voluto mangiare come pane domenicale. Dei suoi occhi luccicanti avrei voluto fare monili da regalare agli artisti di strada. E poi affettuosissimi erano i rendez-vous con Sam, che offriva ai passanti canestri di gioie. Pietruzza azzurrognola lo spazio d’un incontro, d’un saluto. La mattina profumava di timo, s’accendeva d’un colore ebano. Sam aveva gli occhi luminosi d’un cielo nostalgico. Un Cristo nero traversava il giorno con armoniche ali di sogno. I fiori del Senegal lo aspettavano per nuove primavere. Eppoi c’era Alessia, l’angelo biondo, confuso alla gente festosa del Corso serale. Esplosione di rare stelle nel cielo d’ottobre. Alito d’estate, l’angelo biondo. Io coglievo bisbigli di luna, spighe di vita, rossi coralli di strada. Elettricità nell’aria, fanciulli, fanciulle, il sogno eternoritornante d’un amore astrale. Un giocoliere all’angolo del Duomo, attraeva il mio sentimento. Lo vidi mulinare sogni e gialli birilli. Un freddo pungente tagliava le gambe d’un gennaio fanciullo. Coperto di stracci acciuffava al volo le anime erranti, ne faceva polvere di stelle. A una fanciulla sitibonda di sole strappava il cuore, lo faceva a pezzi e lo donava a ragazzi innamorati. Il suo grosso cane nero salutava i passanti. Spesso incontravo Francesco, che passeggiava per Lecce. Francesco, musica sparata nelle orecchie. La vita vuole ritmo. Ti vedevo, Francesco, in una nuvola rosa, come ruga di cartapesta. La gente s’affrettava per la via. Francesco, la tua melodia era gioia meridiana. Ricordo con affettuosità quei giorni del 2008, i percorsi fatti, le strade. Rammento piacevolmente quell’umanità incontrata, che ha arricchito il mio immaginario. Di seguito una poesia della raccolta “Per Strada”:

Sparpaglierò
semi d’amaranto
sul tuo cuore di piccola
messicana. Tu sei
grano rosso sfuggente
germoglio contadino
sussulto nella notte.

Di sangue è la vita,
grappolo di pannocchie
virgulto d’amore.

Tu sei
la mia pianta d’amaranto,
appartieni a terre che non conosco,
come un campo
che trema nell’estate
in spighe assolate
mi sei vicina.

Grano che brucia,
treccia di cielo
gemma del Sud.

Marcello Buttazzo