di Marcello Buttazzo –

In un tempo di guerre sconsiderate, di terrorismi, di efferatezze, avremmo bisogno davvero di recuperare una dimensione più intima, più profonda. La vita interiore. In un’era drammaticamente e sentimentalmente sconnessa, dolente, travagliosa, dovremmo cercare pazientemente tutte le coordinate che ci avvicinino ad un sistema di principi solidi, di valori autentici. Dovremmo cominciare con certosina attenzione a prenderci cura, per l’innanzi, di noi stessi, del nostro sé, per tentare di compattare istinto e ragione, per scovare nel nostro sommerso le motivazioni e gli stratagemmi, che ci fanno ancora essere uomini e donne capaci d’amore, di solidarietà. Una volta riconosciuti noi stessi, è importante e vitale rapportarsi agli altri. La filosofia del prendersi cura (anche degli altri) è un’assunzione di responsabilità, è una strada feconda da praticare anche coi piedi piagati. Uscire fuori dalle gabbie asfittiche del proprio egotismo, vedere l’altro nella sua interezza e integrità, è una necessità ineludibile, un bisogno pulsante, per cominciare a disegnare nel cielo e sulla terra arabeschi di sincerità. Dobbiamo trovare l’attimo, il minuto e il secondo, per nutrire le lande del cuore. Il cuore amaranto. Il cuore rossosangue. Senza dimenticare che noi individui abbiamo una vocazione ancestrale, cioè la capacità di ricucire con ago d’amore le ferite sanguinanti. Sono innumerevoli gli accadimenti di questa vita ordinaria che, a volte, scompaginano, fanno male, e vanno visti con lenti amorevoli e morbide. A tutti gli esseri umani occorre una carezza, nella consapevolezza di sapersi tutti uniti da un comune destino. Sulla forza dell’amore ho letto (venerdì 27 ottobre) sull’”Avvenire”, ne “Il Vangelo delle briciole”, un mattinale stupendo, dal titolo “Per un’ecologia del cuore”, a firma del teologo e poeta José Tolentino Mendonca, che riporto integralmente:

Abbiamo bisogno di un’ecologia del cuore che ci renda consapevoli di come gli esseri sono in connessione tra di loro. Abbiamo bisogno di diventare persone capaci di cura, praticando una responsabilità operativa nei riguardi di ciò che è comune, e non soltanto di quel che è nostro. Abbiamo bisogno di ascoltare i gemiti della terra così come ascoltiamo i gemiti del nostro corpo. Abbiamo bisogno di coltivare il fragile e fremente ruggito che pulsa in ogni vivente e acquista forza quando si sente riconosciuto e rassicurato. Abbiamo bisogno di uno sguardo che rimanga affascinato da tutte le creature e dalla capacità di integrarle nella grande e plurale danza della vita che sempre ci supererà. Abbiamo bisogno di un’arte del riciclo, che ci insegni a dare una seconda opportunità alle cose che buttiamo via con tanta facilità. Abbiamo bisogno di un paziente impegno a trasformare, riconvertire, rammendare, riparare, risignificare, invece della nostra dispendiosa corsa ai consumi. Abbiamo bisogno di accettare il limite, di riconoscere che è già sufficiente e di fermarci, di far dipendere di meno la nostra soddisfazione dai falsi bisogni, di pensare non solo al mondo com’è adesso, ma all’eco che ancora riverbererà per molto tempo dopo. Abbiamo bisogno di capire che c’è una continuità fra il tetto che ci mette al riparo e la grande cupola terrestre, tra la nostra casa e la casa comune, tra il bene proprio e il bene di tutti”.

Marcello Buttazzo