La primavera è ancora giovane. Ma presto tornerà, ancora una volta, un’altra estate. Tornerà il vento caldo. Torneranno le rose e il frumento. Tornerà la notte e il suo fruscio di stelle silenziose. Tornerà la luna e un viso di ragazza imbriglierà i solchi della memoria. Tornerà l’alba coi suoi fulgori. Tu arrosserai il cielo di giugno e di passione avvamperai le rilucenti aurore. Tornerà San Vito, il Santo Patrono, che dalla secolare colonna richiamerà voli leggeri di rondini ribelli e anarchiche e lontani canti d’amore. La piazza sarà ubriaca di sole, popolata di lavoratori indocili: nei loro occhi accesi brilleranno desideri inarrivabili in dolci matrone dai seni prorompenti. Il paese sarà un florilegio di parole, un proscenio placido rilucente di colori, un privilegio da vivere. E noi passeggeri del mondo stazioneremo, come sempre, ai margini, abbarbicati al sogno e alla speranza. Usciremo per strada, soli e vivi, il passato sarà ormai un virgulto di marmo, sangue imprigionato, un vecchio singulto sparpagliato di vento. Esploderà poi un giugno maturo. E la giovane estate avrà i giorni di perla e il sorriso d’un fanciullo. Cascate di sole, colori arcobaleno, ciliegi maestosi in campi stremati. Odore di basilico e di rosmarino, di erbe selvatiche. E ancora rossiccio odore di te, fascinosa musa. Verrà il mare di luglio. Torneranno i giardini di magnolie e rose, il sole verde a picco sul meriggio. Sulle spume dorate giovani donne spanderanno semi di grano e boccioli d’incanto. I fanciulli s’affretteranno a disfare castelli di sabbia, giocando con le loro improponibili chimere. Fra le creste delle onde mattutine saetteranno cavallucci marini, pesciolini argentati. Sull’arenile annuseremo i colori del giorno e l’odore infinito delle tramontane. Gocce di sole nel cielo di rondini striato. Aquiloni amaranto, arabeschi di sogno fra nubi d’incanto. Zolfo e alluminio, calie afferrate, canestri di parole, le sospirate serate. Mulinelli di melanconie nei crepuscoli aranciati. La notte, la magica notte porterà pioggia a dirotto di intime confidenze e, fra le lenzuola, una minuscola gemma d’un indaco maliardo. Fuochi d’artificio, scampanio festoso nell’aurora violetta e brezza leggiadra, figlia della giovane estate. Verrà l’estate e avrà il tuo sapore, il tuo respiro, il tuo irripetibile passo. All’ombra delle sere leggeremo versi di Campana, di Ruggeri, di Toma. E di Arthur Rimbaud:

“Le sere blu d’estate, andrò per i sentieri
graffiato dagli steli, sfiorando l’erba nuova:
ne sentirò freschezza, assorto nel mistero.
Farò che sulla testa scoperta il vento piova.
Io non avrò pensieri, tacendo nel profondo:
ma l’infinito amore l’anima mia avrà colmato,
e me ne andrò lontano, lontano e vagabondo,
guadando la Natura, come un innamorato.”

Lequile con le sue zolle rosse d’anima sarà la nostra terra assolata di complici ulivi. Trama aggrovigliata di fronde di limone, di acini d’uva, di rosse melagrane, corse sfrenate, il pino, l’eucalipto. Lequile sarà una coppa di piacere, di dolore, una fanciulla vestita di perle di luna, una chiazza infinita di cielo. Lequile, mille colori, infanzia rosa, stagioni perse, angeli di passaggio. E tornerà luglio, alba fremente, tramonto amaranto fra canneti di rabbia. Tornerà luglio, trasognata fanciulla, vertigine di sogno. Luglio, vento di ponente col suo sciame di piccoli amori, col suo cantuccio segreto di piccoli tormenti. E come sempre, t’amerò, elegia rosa, canestro di violette, scheggia di memoria. Quarzo e sangue, mare salentino, anello d’un dolore. Tu sei zaffiro di vento, occhi di bottiglia, cuore madreperla. Di rubino è l’attesa. Per amarti, salirò sul carro stregato e il tempo cristallizzerò in un gioco di lucenti opali. Verrà l’estate e la mia terra, che ha vissuto il dolore e l’amore, che ha gioito al suono di infiniti violini, che ha pianto le lacrime di mille tempeste, conoscerà Lei, l’angelo verde smeraldo, lingua di luna, ghirlanda di cielo. Con Lei passerò le mattine chiare a leggere i versi di Federico Garcia Lorca, di Gatto, di Caproni. E di Pablo Neruda:

“Oh estate
abbondante,
carro
di mele
mature,
bocca
di fragola
in mezzo al verde,
labbra
di susina selvatica,
strade
di morbida polvere
sopra
la polvere,
mezzogiorno,
tamburo
di rame rosso,
e a sera
riposa
il fuoco,
la brezza
fa ballare
il trifoglio, entra
nell’officina deserta;
sale
una stella
fresca
verso il cielo
cupo,
crepita
senza bruciare
la notte
dell’estate.”

Marcello Buttazzo