di Marcello Buttazzo –

La mia città ha un cuore tenero
anche se produce acciaio. Cercatela
nelle vaste campagne di uliveti e vigneti
e sui rugosi volti dei pescatori
che si annidano nell’antico borgo.
La mia città ha un cuore tenero
anche se produce acciaio.

Venerdì 17 dicembre alle 18.30, la #bibliotecaBernardini a Lecce, ospiterà l’incontro di presentazione del libro “Le radici nel cielo” (Bertoni Editore 2021) di Angelo Lippo. Interverranno, alla presenza di Antonella Lippo, Simone Giorgino, Mauro Marino e Franco Ungaro. Le letture saranno a cura di Lorenzo Paladini di AMA – Accademia Mediterranea dell’Attore.

Un’antologia di versi (1963-2011) che segue cinquant’anni ininterrotti d’una storia, che ha segnato vivamente e profondamente le vicende (non solo poetiche) della terra di Puglia. In effetti, Angelo Lippo è stato un brillante pubblicista, collaborando con diverse testate di respiro anche nazionale. L’antologia di Lippo è un piccolo gioiello, un florilegio di venustà, che ci fa seguire passo dopo passo un percorso di intendimenti di quello che viene considerato da Raffaele Nigro “il maggior poeta dell’ultimo Novecento tarantino”. Da carteggi conservati nell’archivio di famiglia”, si evince che Lippo ebbe contatti serrati, tra l’altro, con Donato Valli, con Mario Marti, con Giacinto Spagnoletti, con Giorgio Barberi Squarotti, con Maria Luisa Spaziani, con Danilo Dolci.
La sua vita feconda di incontri e compartecipazione, è stata spazio d’inclusione e condivisione (“Filo diretto è la poesia:/spicchioluna delle fresche promesse/aranciaestate dai caldi inviti/”.


“Le radici nel cielo” (titolo scelto dall’autore oltre dieci anni fa) si può fregiare della premessa di Dante Maffia e d’una vasta prefazione di Simone Giorgino. Maffia si sofferma sul poeta tarantino che visse un’esistenza appartata, artefice d’una “poesia semplice come il pane”, ben lontana dagli ismi e dalle avanguardie.
Giorgino ribadisce lo stile sobrio e posato, il registro colloquiale, l’istintiva adesione di Lippo alle tematiche e agli stilemi più caratteristici dell’area meridionale e magnogreca. È poesia meridiana quella di Lippo. Insiste Giorgino: “Appartenere alla cultura meridiana significa anche, per Lippo, fare parte di una comunità di persone che condividono lo stesso disagio, e si noti come il frequente ricorso alla prima persona plurale, al “noi”, sia in Lippo uno stigma evidente dalla sua propensione alla coralità”.
La poetica dell’autore segue i selciati della denuncia civile e, al contempo, è una evocazione amorosa d’un lirismo puro e raffinato. Taranto, terra violata e sporcata di ossidi e di vapori, è sempre presente. Quei morti d’avanzo da lasciare a testamento della sofferenza del poeta.

Prima di dipartire, in “Se non matura la spiga” (silloge del 2011 edita da Il Raggio Verde), l’autore agogna un senso di resipiscenza in chi scuote la gente di Taranto, che non respira più per paura di morire. Altresì, accesa è la condanna di coloro che finiscono di non accorgersi che molti, troppi bambini potessero essere uccisi dal fumo delle ciminiere.
In “Classe 1939” c’è la mestizia per una generazione di traditi, di uomini e di donne invasi dal raptus del benessere, impreparati ad affrontare il fluire degli accadimenti.

I versi di Lippo sono vibrante poesia d’amore con virenti figurazioni di Natura, di flora e di fauna parlanti e pensanti. La ragione governa la vigna abbattuta dall’autunno, gli abeti illimpidiscono nel viale, l’erba trascolora nella carezza alata. La Storia cammina negli occhi della Musa e affabula perfino il mugghio del mare. E ancora bianchi steli di gelsomini, solchi segnati dagli ulivi secolari, fioriture di peschi vergini ai bordi di un esistere, papaveri macerati a oblio delle ansie e degli sgomenti. La tartaruga che fissa il tempo, il niveo spumeggiare di colombe. E poi oleandri sgargianti, il melograno ridente che invoca il mistero dell’aria, il gufo che s’inalbera come un gatto, il cristallino del cielo s’asciugherà sulle pupille secche, il profumo delle margherite frantumate dalla lucertola scattante, le insidie del ficodindia.

Nei versi di Lippo, capeggia un Sud di luce radiante, una contrada che risplende, dove gli ulivi sublimano abbracci e le donne richiamano tepori. La poesia del grande autore pugliese è altamente lirica, procede per afflato di musicalità.

Non sono buono a cavarci più nulla
dal cielo azzurro e dalle stelle.
I grilli hanno nascosto il capo
nei fienili di campagna. Ho smarrito
anche la volontà dei venti
e confondo spesso il mugghio del mare.
Alla darsena mi ritrovo come un tempo
solo a insabbiarmi di ali di gabbiani.

Molto intensi e delicati i versi dedicati alla madre e al padre. La visione d’un figlio che sa far barbagliare negli occhi della sua genitrice tetti d’ardesia e pampini di vite. E che sa portare al genitore deceduto il bianco stupore di un mattino di gabbiani, carpito sulle rive dello Jonio.

Angelo Lippo, nel corso della sua feconda esistenza, ha valorizzato poeti, pittori, narratori, marginalizzati dalla critica ufficiale. Quando Alda Merini si traferì a Taranto per sposare il medico e poeta Michele Pierri, Lippo non esitò a pubblicizzare la produzione della grande poetessa dei Navigli, che non era ancora diventata un’icona pop. Ne “Le radici del cielo” ci sono poesie scritte per Alda Merini, per Dante Maffia, per Ignazio Buttitta.

Angelo Lippo è un importante poeta moderno italiano da leggere attentamente e da studiare magari nelle scuole. La voce dei poeti e dei narratori può aiutare i più giovani a rinsaldare e a strutturare una formazione umana e intellettiva morbida, aperta, al passo coi tempi. I poeti come Lippo sono i custodi d’una bellezza palpitante, che è come un trasalimento di vita. Vita che scorre di là dalle limitatezze di questo tempo contemporaneo.

I bambini vestiti a repertorio
all’assalto dei carretti di noccioline
e dei palloni che finiscono sempre nell’aria.
La gente che modula il passo 
nella calca dei saluti e degli abbracci
mentre la musica spazza alta le case.
Un tempo al mio paese
le icone uscivano più spesso a passeggio.
Questi nostri occhi tumefatti
non sono buoni a lanciare preghiere.
                                         

Marcello Buttazzo