di Marcello Buttazzo –

giungevano voci da una veglia lontana
mentre Borges camminava lento
sul ciglio di un altro autunno
su cui cadeva un’ombra e
s’alzava agrodolce il sapore
delle nostre estati in piazza
s’era perso un poeta
tra un pensiero di pace
e l’invito a un viaggio
si parlava per ore
all’angolo
e la pioggia

È stata pubblicata qualche mese fa (maggio 2023) da Marco Saya Edizioni una deliziosa silloge dal titolo “La bruma”. L’autrice è Maria Grazia Galatà, poetessa e artista visuale, nata a Palermo, da molti anni vive ed opera a Mestre- Venezia. Vincitrice di diversi premi letterari, collabora con il giornale di scritture “Il cucchiaio nell’orecchio” e Mentinfuga. Il suo curriculum è vastissimo. Diciamo solo che ha partecipato, nel 2002, ad “underwood”, insieme ad altri nomi illustri della poesia contemporanea, come Mario Luzi, Fernanda Pivano, Edoardo Sanguineti. Nel 2009 alla 53 Biennale di Venezia, “Notte di Luce”, con Adonis, Loretto Rafanelli, Massimo Donà, ed altri. Inoltre, tantissime sono le sue personali fotografiche. Ricordiamo solo una sua presenza con un’opera fotografico-poetica, presso la biblioteca di Zurigo, in Svizzera. E “Simmetria di un’apparenza”, Personale fotografica presso la galleria d’arte “Istituto Romeno” Venezia. La sua biobibliografia è molto ampia e testimonia, tra le altre cose, il fermento d’una donna in continua attività creativa.

La raccolta di poesia “La bruma” è il canto leggiadro d’una poetessa che conosce la vita, lo spazio, il tempo. Maria Grazia Galatà, di certo, è uno spirito indocile, movimentato da marosi di vento, da turbolenze interiori, che poi sono quelle che donano (insieme ad altro) bellezza e ricchezza a questa opera. Galatà, senz’altro, ha traversato e traversa la vita con gli occhi fotografici e desti, per rimandarci un paesaggio interiore e naturale nutriente e prodigo di trovate, di metafore, di assonanze.
C’è una cifra sostanziale che balena subito, dopo una prima lettura de “La bruma”: la delicatezza. E mi riferisco, soprattutto, alla soavità e leggiadria del lessico, del linguaggio, dove ogni tessera si trova al posto giusto, è distillata e purificata, e ogni verso s’abbraccia al precedente e al successivo in un amorevole ed elegante postura di intenti. Nella raccolta emergono considerazioni e squarci conoscitivi, che riguardano non solo i vissuti della poetessa, ma l’esistenza di tutti gli uomini.

La vera poesia non si concentra mai smodatamente su un “io” autoreferenziale, ma sa gettare ponti coinvolgenti con l’altro da sé. E questa di Maria Grazia Galatà è poesia superlativa, perché i suoi versi possono essere ricondotti al destino di tutti. Leggendo “La bruma”, ci sentiamo tutti (uomini e donne) tirati in ballo, ci sentiamo tutti protagonisti, avvertiamo di far parte di un progetto culturale globale.
In esergo, la poetessa riporta dal “Viaggio al termine della notte” di Louis-Fernand Céline le seguenti parole: “Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza. Va dalla vita alla morte”.
E Galatà ci fa viaggiare veramente con le sue poesie, sui selciati dell’attesa, dell’amore, della caducità della vita. Ci fa viaggiare sulle notazioni esistenziali di chi sa perdersi in albe clandestine, sullo smarrimento. Lei sa cantare stupendamente e laicamente il silenzio. Il silenzio è come un fruscio, è qualcosa che rimane nella brina, un disordine sparso prima che cadano le foglie. Il silenzio è una sorta di attesa dove pregano gli orfani. Il silenzio sa racchiudere tutte le fragilità del mondo.

Da un punto di vista strettamente stilistico, i versi di Galatà sono essenziali, senza complicanze retoriche, puliti, senza orpelli. La poetessa non usa la punteggiatura e le maiuscole. Tutto si risolve in un intrigante racconto continuo di alta poesia. Ho potuto apprezzare nel succedersi dei versi figurazioni liriche efficacissime, nitide. Passaggi di questo tipo: “c’è un sonno/che irrompe/tra la montagna e il mare/l’onda dei coralli/”; “all’imbrunire/è morta la magnolia/anche l’alloro aveva perso/l’ultimo profumo/”; “così- il poeta/figlio del vento/benedice le rocce/e dice/stupenda sei/alba al tramonto/”; “ho visto danzare le rose/al tramonto d’autunno/”. Il viaggio della vita, della poesia, è davvero immaginazione, sogno ad occhi aperti, trasognato intendimento. Galatà ha una fine capacità visionaria, che le deriva non solo dalla sua attività di scrittrice, ma anche dall’essere una eccellente artista della fotografia. I suoi versi sono plastiche fotografie del conosciuto e dell’inconosciuto. La melanconia e il desiderio ardimentoso d’amare dell’autrice sono capisaldi. Tanto che Galatà può dire: “mentre arriva l’estate/ d’un tempo azzurro e calmo/la sera delle luci e i canti/sulla riva inviolata/ metamorfosi/ eppure t’ho amato/ anche quando non t’amavo/”. La variante tempo è qualcosa di fugace. E lo spazio si tinge di accadimenti esistenziali. L’irrequietudine della poetessa sa contemperare, talvolta, anche una sentita filosofia consolatoria: “arriverà la pace/a noi ciechi/a noi prigionieri/ ai cigni selvatici/”. “La bruma” è uno stupendo libro di poesie. Va letto per conciliarci con la vita e per scoprire, in parte, il mondo ammaliante di Maria Grazia Galatà.

nei rari momenti di bellezza tra l’argine
e il gelsomino obliquo

tenerezza
e un balcone di lillà

              Marcello Buttazzo