di Vittorino Curci –

Un luogo senza nome. Un piazzale al quale nessuno ha pensato di dare un nome. Siamo in un luogo non ancora raggiunto dal Logos, che ha principio proprio nell’atto di nominazione. Ma anche le figure che attraversano le pagine di questo libro non hanno un nome. Sono soltanto corpi. Corpi  sui quali scende “la tenebra / il silenzio di tutte le parole”. Giovani corpi, per lo più, che si aggirano come ombre tra “gli edifici delle case popolari” mentre “la tangenziale sprofonda nel buio / di tutte le notti”.

Piazzale senza nome di Luigia Sorrentino – appena pubblicato nella Collana giallo oro di Pordenonelegge-Samuele editore – non è un libro sulla morte ma sul morire. Il morire in luoghi senza nome. Il morire di giovani senza nome: “la ragazza dal volto antico”, il ragazzo “picchiato con calci e pugni”, quello con le “braccia / crivellate di colpi”, quello delle corse sulle moto. Storie di degrado e disfacimento, di “pupille / allagate / perdute per sempre” tra un piazzale senza nome e un’altrettanto anonima villa comunale. “La morte da giovani arriva all’improvviso, carica di violenza. Lo smembramento è totale.”

Dopo Olimpia (Interlinea, 2013), un libro di nascondimenti e rivelazioni, di racconti mitici e convergenze segrete, Luigia Sorrentino con Piazzale senza nome, partendo dalla cruda verità enunciata dalle parole di Plutarco poste in epigrafe (“La morte dei vecchi è come un approdare al porto, / ma la morte dei giovani è una perdita, un naufragio”), affronta le solitudini implacabili e le derive esistenziali di una realtà di provincia agra e sconsolata. Tra i tanti eloquenti “naufragi” di questo bellissimo libro, ecco qui un esempio: “l’avevano picchiato con calci e pugni / colpi violenti inferti sulla schiena / erano entrati nel bozzolo / della dignità // erano venuti a cercare i suoi occhi / inceneriti / l’avevano tenuto fra le braccia / senza risposta // odorava di fiori senza più ritorno // perduta nell’oceano / la frequenza cardiaca / la voce dell’universo”.

In Piazzale senza nome la lingua poetica di Luigia Sorrentino è asciutta e precisa, incisiva e tagliente. Non cerca mai per questi “naufragi” un fin troppo facile coinvolgimento emotivo del lettore, ma un’attenzione lucida, una impellenza di giustizia anche per il passato, un atto di fiducia nella potenza salvifica della parola.