di Marcello Buttazzo –

Alcuni incontri avvengono casualmente, ma non per caso. Ebbi un primo contatto con Maria Pia Romano una quindicina di anni fa. A quei tempi, ero avvezzo a frequentare uno studio di sophianalisi, il mio preferito. In quel luogo protetto e silenzioso e riservato, ero solito scandagliare l’essenza per far baluginare in superficie tracce significative del sé. In quel posto d’approfondimento e di conoscenza, un giorno, una mia compagna, Caterina, sapendo della mia passione per la poesia, mi prestò il libro di versi d’una certa Maria Pia Romano, “L’estraneo”. Che io lessi molto superficialmente. Il nome di Maria Pia Romano, però, mi era in certo modo confidenziale. Lo avevo letto su “Qui Salento”, periodico di informazione e di culture locali, che, a quel tempo, avevo la possibilità di leggere gratuitamente. All’edicola dei miei genitori e di mio fratello, a Lequile, potevo attingere tranquillamente ai quotidiani, ai settimanali, ai quindicinali, ai mensili, senza pagare una lira. Senza spendere un euro. Maria Pia Romano, per un po’ di tempo, è rimasta silente in me, addormentata fra le braccia del tempo. Non so quando è che l’ho ritrovata. Di certo, al Fondo Verri di Lecce, che presentava un suo romanzo, che giace in qualche romito angolo del mio studio. Nascosto. Che non oso cercare. Per mia neghittosità, per mia pigrizia. Farò una confidenza.

Leggo pochissimi romanzi, per una incapacità di essere rigoroso, di seguire un ordine preciso. Amo di più la poesia, che mi consente le pause, il riposo. L’anarchia. La poesia mi permette di sfogliare, senza seguire un criterio rigoroso. Amo di più la poesia, perché è più fotografica, più sintetica, più immediata. Più repentinamente pronta all’ascolto rapido. Forse al Fondo Verri, casa dell’anima e della cultura, con lei condivisi per la prima volta qualche parola. Non ricordo, davvero non ricordo, quando ci scambiammo il numero di telefono. Di fatto, con Maria Pia siamo vicinissimi di casa, essendo la sua famiglia di San Cesario. Fino al marzo 2017, ho qualche piccolo vuoto. Quel giorno, i nostri occhi e le nostre anime si trovarono in un refettorio francescano del mio paese, Lequile. Alla presentazione della mia silloge “Origami di parole” (Pensa Editore), Maria Pia partecipò. Quel giovedì, però, la gioia commista all’amarezza. Ero felicissimo che nel mio paese Giuliana Coppola e Vito Antonio Conte, persone fondamentali nella mia formazione di poeta, dovevano interagire e dialogare con me. Quando arrivai nella fanciullesca sala di dolci giochi selvaggi, la desolazione fu palpabile. Venni a sapere che le condizioni della madre di Vito Antonio Conte s’erano aggravate. A intervenire c’erano Giuliana Coppola e Cosimo Renna. Tuttavia, si staglia nella mente la figura di Vito Antonio, che era venuto a trovarci. Solo per un rapidissimo saluto.  Successivamente, ho reminiscenza d’una bellissima visita di Maria Pia a Lequile. Al tavolino del bar scambiammo parole d’amicizia. E doni. Io le diedi “Verranno rondini fanciulle (I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno) e lei due sue raccolte “La settima stella” e “Il funambolo sull’erba blu”. Maria Pia molto generosamente fece una strepitosa recensione del mio libriccino su d’un blog letterario. In questi anni sono sempre rimasto in contatto con la poetessa e scrittrice, grazie al telefonino e a Facebook. Ci siamo ogni tanto scambiati messaggini velocissimi.

Parlavamo di mare, di Gallipoli, di affetti, d’umana bellezza. Sono venuto a conoscenza da lei del precipitare della condizione di salute di suo padre. E infine della sua dipartita verso altri Cieli. Grazie al social, ho appreso che venerdì 19 novembre 2021 Maria Pia avrebbe presentato il suo nuovo romanzo “Le stagioni del viaggio” (besamuci), presso la Biblioteca Bernardini di Lecce. Non potevo mancare. Con il mio amico Giuseppe Fioschi ci siamo fiondati all’Extra Convitto Palmieri. All’ambito rendez- vous, abbiamo assistito ad uno scambio intensissimo fra Maria Pia ed Ambra Biscuso. “Le stagioni del cuore” è un florilegio lento di affetti e amore filiali che non muoiono mai. Protagonista è un padre, volato nel suo altrove, che ancora fa barbagliare aurore d’amore. La natura più intima di Maria Pia è poetica. Il suo genoma nasce in versi. È sufficiente sfogliare “Le ragioni del viaggio” per asserire serenamente che il procedere sostanziale della Romano veleggi per i mari eleganti e intriganti della prosa poetica.

Marcello Buttazzo