di Antonio Stanca –

Nato a Bellano, in provincia di Lecco, nel 1956, Andrea Vitali ha fatto il medico per molti anni e dal 1990 ha cominciato a dedicarsi alla narrativa traendo ispirazione da quanto gli era stato raccontato in famiglia quando era bambino o aveva ascoltato dopo circa persone vissute o vicende accadute a Bellano o su quella riva lecchese del lago di Como da lui tanto amata da esservi rimasto per sempre. Ha scritto molti romanzi nei quali ha rappresentato situazioni comuni, quotidiane. Ogni volta, però, in ogni romanzo è riuscito a risalire dalla circostanza contingente ad un significato, un messaggio più ampio, ad andare oltre l’evidenza. La modernità, la crisi dei valori interiori da questa comportata, la vita regolata, stabilita che richiede e che non permette sviste, distrazioni a rischio di gravi danni, sono i temi ricorrenti nella sua narrativa. Interpreti, simboli di questi diventano persone, ambienti di ogni giorno. Anche la lingua che usa è semplice, vicina a quegli ambienti, a quelle persone. Ci si può riconoscere con facilità nella scrittura del Vitali e pure ad essa va attribuito il motivo di un successo iniziato fin dai primi romanzi e continuato per anni. Numerosi sono stati i riconoscimenti ottenuti, in molte lingue straniere è stato tradotto.

Presente nelle sue narrazioni è pure una certa curiosità, un certo umorismo che a volte le fa apparire banali. Sarà stata quest’altra tendenza a portarlo ultimamente a scrivere romanzi per ragazzi, favole. Anche in queste persegue gli obiettivi morali di sempre ma in maniera completamente inventata, da sogno. Così in Di impossibile non c’è niente, pubblicato da Salani nel 2014 e ristampato ora da TEA in un’edizione speciale. Le illustrazioni sono di Fabiana Bocchi.

È una storia inventata, immaginata anche se il problema che emerge è reale, concreto. Si allude alla verità tramite il gioco come appunto nelle favole.

Nell’ospizio Vistalago si sono ritirati quei famosi personaggi che hanno sempre fatto parte dei racconti di Natale, Babbo Natale, la Befana, i Re Magi, Bianca Neve e i Sette Nani, la Cicogna che porta i bambini, Topolino ed altri. Si erano resi conto che il loro tempo era finito, che il mondo moderno di essi non aveva più bisogno, ad essi non credeva più. Erano andati in pensione ed avevano pensato di stabilirsi in quell’ospizio. Qui ognuno aveva la sua stanza e ad ognuno accudivano le suore incaricate dei compiti che la struttura svolgeva. La loro vita trascorreva come tra vicini di casa, tra amicizie e rivalità, confidenze e segreti, fin quando a Babbo Natale non giunge una lettera da parte di un bambino, Gelso, che gli chiede di interessarsi affinché il bosco presso casa sua non venga abbattuto. Lo si vuole abbattere per creare strutture moderne, condomini, uffici, magazzini. Così Gelso e i suoi amici non avrebbero più il posto per giocare e le altre persone quello per passeggiare, respirare. Da tempo Babbo Natale non riceveva le famose lettere da parte dei bambini che chiedevano i regali e quella di Gelso lo sorprese e interessò. Non fu facile trovare il modo per risolvere il problema ma ci riuscì aiutato dagli altri personaggi che nell’ospizio erano ricoverati. Il bosco fu salvato e pure il gioco dei bambini e la salute dei loro genitori e degli abitanti del posto. Da parte di tutti questi verrà espresso, alla fine, il desiderio che quei personaggi tornino ad esistere e a valere, che i vecchi tempi siano recuperati visto che i nuovi comportano solo problemi.

Più convincente di altre volte è riuscito Vitali in quest’opera poiché la finzione ha evidenziato meglio la verità e il linguaggio estremamente facile ha permesso che il significato perseguito assumesse un’estensione maggiore, giungesse più lontano.

Antonio Stanca