di Francesco Pasca –

Marcello Buttazzo
E se nel giallo ti vedrò
I Quaderni del Bardo
2023, Collana di Poesia

E se nel giallo ti vedrò”. Scrive così Marcello, sottolineando l’andare per parole e attraversando qualunque “certezza”, compresa la necessaria presenza del sole, con la sua congiunzione dubitativa. Ne fa in contemporanea titolo e traccia poetica.
A pag. 31 s’addentra in “acceso sole”.
In quella luce non so bene come si palesa quel suo “sfoglio e risfoglio” nella mente congiunta, nel e col tutto, persino nell’immagine di Ambra evocata con: “dello sconquasso minerale”.  
Occorre essere nello sconquasso, nel tempo primordiale, nel “pallore sanguigno”, in quel: “non farmi mancare mai il viso di lei” per saperlo.
Marcello mi accontenta con il leggerlo e immaginarlo.
Per un mio certo so di un ambra millenaria che spesso racchiude un silenzio di vita, so ch’è goccia preziosa scaturita per essere attraversata dalla luce del suo “necessario” sole. Della sua Ambra, per me che leggo, somma di tutte le donne di Marcello, vedo che anch’ella diventa ed è cantata bambina nel “vedrò” di un affaccendato scrittore tra “uno sfrigolio di sillabe e un frinire di cicale” e “una giovinezza inoltrata”.  
Ma è il nuovo “giallo” che ora m’intriga, per aver letto precedentemente: “Fra le pieghe del rosso” e per il mio abuso quotidiano fatto con lo stemperare i primari e lo sminuzzare il terzo di quei colori.
Il mio “lapislazzulo”, in curiosità,  è per il terzo, per il già futuro dei due, con l’azzurro, che attendo da Marcello e mi chiuda e mi accontenti con il farmi completare in una sua futura trilogia dedicata ad “ogni bambino del mondo”.
Leggo di settantacinque pause poetiche da farne ragione, esistenza di ”stelle storte” ed estrarle, salvarle per un nuovo “scuotimento” dagli ” stagni melmosi dell’indifferenza”.
Di Marcello Buttazzo penso all’esplosione di una luce, corpo cellula nel suo modo di scrivere.
Ricordo la sue stagioni, come ogni stagione anche questa si porta dietro una nostalgia, risponde ad una scrittura. Per l’Autore è condizionarne l’appartenenza ed essere quotidiano cronista delle proprie storie, giornalista chiamato dal modo di essere e condividere. 

Amare, guardarsi intorno è volgere anche lo sguardo ad un futuro dubitativo segnato dalla speranza ed è tutto vero in un colore da mescolare per ottenere il tono preferito.
Da Artefice spera nel diventare, concretizza il comune sentire con lo scriverne, si auto contamina con “vereconda solarità” all’incanto e al turbamento.
Occorre andare incontro all’innocenza della vita, a guardare nel ricordo, al chi guarda nel mai prossimo o in un’ansia. Avviene con lo scrivere per dare certezza alle immagini, ai particolari dominanti, ai percorsi già segnati.
Scrivere per Marcello credo sia anche la necessità di misurare i livelli di gioia e di dolore, di ritrovare l’equilibrio che certamente vi è stato e lo ha condotto a quel particolare ricordo. Le necessità sono rivolte alla Terra che attraversa, al territorio di vita quotidiano, alla superfice mossa come continui sommovimenti di zolle, di “tutte le macerie del mondo”, “come un’onda”. Le parole esplodono in vicinanza e lontananza mentre Marcello lascia a noi le necessità vedute in “un cielo immenso”, e ci fa osservare tutto da lontano, dal suo tempo definito in un univoco letterario: “L’eterno ritorno”.
E se nel giallo ti vedrò”, sarai, saranno, si ritroveranno, si saluteranno tutte le Cose, “per prendermi tutto l’azzurro e racchiuderlo nel pugno di una mano”, così narra Marcello. Buona lettura!

Francesco Pasca