di Antonio Stanca

A Marzo di quest’anno è comparso, allegato al “Corriere della Sera”, il primo volume della serie “I grandi processi della storia” intitolato Norimberga (Il male sotto accusa) di Roberto Scevola. La prefazione è di Pierluigi Battista, l’introduzione di Barbara Biscotti e Luigi Garofalo, che sono pure i curatori della collana. Sono tutti docenti universitari che s’impegnano a mettere in evidenza come il processo di Norimberga, durato dal Novembre del 1945 all’Ottobre del 1946, sia stato istituito dalle quattro nazioni vincitrici della Seconda Guerra Mondiale, come con esso si siano voluti punire i gravi crimini commessi dal nazismo e porre fine ad un’epoca della storia segnata dal male come nessun’altra. Norimberga doveva diventare fondamentale nella storia dell’umanità, doveva significare il rifiuto di un passato e il desiderio di un futuro.

I due studiosi, nell’intervento introduttivo, mirano, inoltre, a sottolineare l’importanza di questo volume e di quelli che seguiranno dedicati ad altri avvenimenti o personaggi storici giunti ad aver bisogno di una valutazione, di un giudizio, di un processo poiché difficili erano diventati da comprendere, valutare, spiegare. Importanti considerano queste pubblicazioni Biscotti e Garofalo dal momento che fanno giungere ad un vasto pubblico la conoscenza di fenomeni, di eventi che si sono verificati in passato e che sono conosciuti solo dai competenti, da pochi specialisti. Estendere la loro conoscenza serve ad informare ma soprattutto a formare, a sensibilizzare, a far acquisire coscienza. Fa capire, fa valutare quanto è avvenuto, cosa è stato fatto, fa distinguere il bene dal male, fa giudicare la conoscenza. Utile a tali scopi è, dunque, questa operazione avviata dal “Corriere della Sera”. Norimberga, il primo dei volumi della serie, si presenta suddiviso in parti ben determinate: I protagonisti, Il contesto, Il processo. Queste sono seguite da ulteriori chiarimenti e approfondimenti. Niente viene trascurato di quanto ha riguardato quell’avvenimento, di quanto lo ha preceduto e seguito. Tutto viene recuperato e chiarito, nessun particolare viene omesso e finalmente si ha la possibilità di sapere con precisione cosa allora avvenne, perché avvenne, come avvenne. I personaggi coinvolti furono tanti, tante erano state le loro vicende e di tutto volle essere giudice il processo. Dovette, però, faticare pergiungere ad operare, non sempre positive, nota Scevola, furono le opinioni nei suoi riguardi, non tutti lo condividevano, non tutti lo condivisero. Difficile fu il suo percorso, moltele negazioni da parte dei gerarchi nazisti imputati, delle loro difese. Solo alcuni ammettevano le loro responsabilità, molti altri si dichiaravano esecutori di ordini superiori e difficile diventava a volte giudicare poiché non si sapeva a cosa, a chi appellarsi. Fu necessario per i giudici richiamarsi spesso al valore, alla funzione morale più che giuridica del processo, al compito che essosi era assunto di condanna di un male che non aveva precedenti nella storia quale quello del grave trattamento riservato dai tedeschi ai prigionieri di guerra e in particolarel’altro della persecuzione perpetrata e attuata contro gli ebrei, dei campi di sterminio, della crudele volontà di distruggere un popolo, una tradizione, una cultura.

Molti erano i documenti dei quali le accuse disponevano per testimoniare dei crimini compiuti dai gerarchi tedeschi e la pena di morte sarà sancita quasi per tutti. La difesa non riuscirà a modificare quanto di orrendo aveva fatto parte della loro condotta ed infine saranno impiccati nella palestra di una scuola accanto al tribunale.

Altri processi sarebbero seguiti ché molti altri tedeschi responsabili di eccidi eseguiti con ferocia, con crudeltà sarebbero stati scoperti e condannati e solo il muro di Berlino, la definizione delle zone d’influenza e l’aspirazione ad un’Europa unita avrebbero posto fine col tempo ai postumi di un conflitto che sembrava destinato a durare in eterno.

Semplice, chiaro è il linguaggio di Norimberga, vicino a chi legge ha voluto essere perché a questo ha mirato l’opera, a far sapere, a far conoscere. Convinti si sono dichiarati i suoi autori che la funzione divulgativa era quella da svolgere più d’ogni altra.

Antonio Stanca