di Vittorino Curci –

In italiano “eudemonìa” è un termine di origine filosofica a cui i vocabolari attribuiscono il seguente significato: “la felicità intesa come scopo fondamentale della vita”. Questa parola deriva dal greco eudaimonía, che però non ha lo stesso significato che ha in italiano. Eudaimonía in greco significa: rendere felice il proprio daimon. Che cos’è il daimon?

C’ è un frammento di Eraclito, il 119, che è composto di tre sole parole: Éthos anthrópoi dáimon. La traduzione più comune è: il carattere è il destino dell’uomo. Altre traduzioni sono: il carattere dell’uomo è il suo genio; il carattere (o l’indole) determina il destino dell’uomo; la propria qualità interiore, per l’uomo, è un demone.

James Hillman, in Il Codice dell’anima, dice che queste tre parole,  Éthos anthrópoi dáimon, in 2500 anni sono state interpretate e reinterpretate innumerevoli volte. Tra le altre interpretazioni: il carattere di un uomo è la sua divinità protettrice. Oppure: il carattere di un uomo è la sua parte immortale e potenzialmente divina.

Dice Hillman: “Su daimon, non ci sono problemi: abbiamo già accettato la sua traduzione latina in genius, che abbiamo poi trasposto in espressioni più moderne, come «angelo», «anima», «paradigma», «immagine», «destino», «gemello interiore», «ghianda», «compagno dell’esistenza», «custode», «vocazione del cuore». Tale molteplicità e ambiguità è insita nel daimon stesso in quanto spirito immaginale personificato che per la psicologia greca era anche il destino personale di ciascuno. Ciascuno portava con sé il proprio destino come proprio personale genio accompagnatore. E infatti i commentatori traducono a volte con «destino», a volte con «genius», mai, però, con «Sé»”.

Quest’ultima precisazione di Hillman è molto importante perché ci fa capire che il daimon è altro da noi. Non ha nulla a che vedere per esempio con quella voce della coscienza che ci spinge ad agire moralmente («attento!: questo è bene e questo è male») o ad agire razionalmente («attento!: dal punto di vista logico questo è giusto e questo è sbagliato»). Il daimon non ne vuole sapere di questi discorsi perché agisce al di là del bene e del male, e al di là del razionale e dell’irrazionale, ambiti che gli sono del tutto estranei. Non ha nulla a che vedere neppure con l’inconscio o il Super-ego della psicanalisi. Cerchiamo allora di capire bene di che si tratta.

Platone nelle ultime pagine della Repubblica, quando parla del mito di Er, ci dice qualcosa di molto preciso sul daimon.

Er, figlio di Armenio, era un soldato panfilico (cioè della Panfilìa, una regione dell’Asia Minore) che fu ucciso in battaglia. Il suo corpo fu raccolto dieci giorni dopo la morte. Il dodicesimo giorno, mentre stavano per fargli il funerale, Er ritornò in vita e raccontò cosa aveva visto nell’Ade, nel regno dei morti. Spiegò come funzionava la giustizia divina, ma soprattutto raccontò come avveniva il ciclo delle nascite dopo la morte. “Non un demone sceglierà voi, ma voi sceglierete il vostro demone”: questo era il proclama della vergine Làchesi, figlia di Ananke. Il senso di quelle parole era che le anime, dopo essere state sorteggiate per stabilire un ordine di scelta, decidevano quale sarebbe stata la loro reincarnazione. “Er diceva che lo spettacolo di ciascun’anima intenta a scegliere la propria esistenza era veramente incredibile”, scrive Platone, “uno spettacolo compassionevole, ridicolo e assurdo. Perché in genere le anime sceglievano in base alle abitudini acquisite nella vita anteriore. Disse di aver visto, per esempio, l’anima che era stata di Orfeo scegliere la vita di un cigno per odio verso le donne, dato che egli era morto per mano loro e perciò non voleva nascere da una donna”. E, via via, Er descrisse le scelte compiute da Aiace,  Agamennone, Atalanta, Epeo, Tersite. “L’anima di Ulisse si trovò a scegliere proprio per ultima”, disse, “e ormai guarita dall’ambizione grazie al ricordo dei travagli passati, girando intorno a lungo, cercò la vita di un ozioso qualsiasi, e ne trovò a stento una da qualche parte trascurata da tutti gli altri. Al vederla, disse che l’avrebbe scelta anche se fosse giunta al sorteggio per prima, e ben contenta se la prese”.

Il racconto di Er andò avanti ed ecco il punto che davvero ci interessa: “Quando tutte le anime ebbero scelto ognuna la propria vita, si presentarono a Làchesi secondo il turno del sorteggio. Essa inviò a custodire e sancire la vita prescelta quel demone [daimon] che ognuna aveva preso per sé”. Il daimon quindi guidava l’anima da Cloto, poi da Àtropo, poi ai piedi di Ananke e così anima e daimon passavano insieme “dall’altra parte” dove c’era la pianura del Lete, dove l’anima doveva bere l’acqua del fiume per dimenticare tutto. A quel punto solo il daimon sapeva qual era la vita che era stata scelta dall’anima, e quindi ne custodiva pienamente il destino.

L’eudaimonía dei greci è quindi quella sensazione di gioia déjà-vu che proviamo a volte, specialmente quando abbiamo portato a termine un compito difficile e importante, quando ci sembra di ricordare, sia pure molto, molto vagamente, qualcosa che è già avvenuto. È come se in quei momenti ci tornasse in mente la scelta decisiva che abbiamo fatto in un tempo lontanissimo, e ci sembra di riconoscere le linee, le movenze e le ombre del nostro destino. Quando ciò accade proviamo un’emozione fortissima che non possiamo spiegare agli altri: è come se ritrovassimo noi stessi, come se ci ricongiungessimo a noi stessi.

Avete mai incontrato il vostro daimon? Sono sicuro di sì. Tutti prima o poi lo incontriamo. La mia prima volta fu quando avevo tra i 3 e i 4 anni: un foglio di carta, una matita, ed ecco uno di quei momenti in cui ti sembra che il tempo si sia fermato, e allora capisci chi sei e il motivo per cui sei al mondo. La stessa cosa si ripete qualche tempo dopo mentre apri una scatola di matite colorate, su cui è raffigurato il giovane Giotto che disegna una pecora su un masso di pietra sotto lo sguardo ammirato di Cimabue. E poi, quando dall’odore delle matite colorate passi a quello degli acquerelli o dell’inchiostro di china. Che cosa succede in quei momenti? Nell’estatica euforia dei sensi tracci una linea sul foglio, che delimita sì delle forme, ma allo stesso tempo segna il confine tra realtà e immaginazione. E il daimon ti dice che è quello il tuo territorio: l’immaginazione. Sensazioni che torneranno quando leggerai per la prima volta Il sabato del villaggio o ti ritroverai accanto a tuo padre nel buio di una sala cinematografica. Sei ancora un bambino, ma hai già una vaga sensazione di quello che sarà la tua vita. E sai pure che tutto quello che ti accadrà non sarà indolore. E ne avrai la conferma quando ti innamorerai per la prima volta, quando capirai che cos’è la solitudine, quando in una situazione quotidiana, senza un motivo, proverai nostalgia della tua infanzia, quando sentirai tutta la tristezza di una domenica sera d’inverno in un paese di provincia e troverai conforto leggendo Cesare Pavese.

Il daimon è quindi il custode del nostro più grande segreto: il vero motivo per cui siamo al mondo. Di tanto in tanto, quando è necessario, quando ci allontaniamo troppo da noi stessi, lui cerca sempre di ricordarcelo. Ma noi, il più delle volte, non ce ne accorgiamo perché abbiamo la testa altrove e non siamo più capaci di pensare alla nostra vita.

Vittorino Curci