di Antonio Zoretti –

Voi non dovete più processare, infliggere pene, condanne, prima che l’accusato abbia assentito col capo. Vedete, l’uomo ha fatto il cenno: dai suoi occhi ora parla la poesia! E d’ora in poi rispetta le regole senza disprezzo. La sua vita passata è qualcosa che doveva essere superato: vi è solo sprezzo per la vita trascorsa, così dichiara la sua poetica. Che egli abbia giudicato se stesso, è stato il suo momento più alto: non fate che il subdolo ritorni nella sua bassezza. Non v’è redenzione, per colui che così ha sofferto di se medesimo, se non in un rapido risveglio.

Il vostro esame, giudici, dev’essere una pietà e non una vendetta. E, ascoltando, farete in modo di giustificare voi stessi la vita. Non basta che vi riconciliate con colui che avete processato. Il vostro desiderio sia amore dell’uomo: così spiegherete il vostro continuare a vivere. Dovete vederlo “oppositore” e non “malvagio”; “turbato” ma non “furfante”; “folle” ma non “peccatore”. E tu, giudice sovrano, se tu volessi dire ad alta voce tutto quello che hai già formulato in pensiero, tutti griderebbero: <<via questa sozzura…>>. Ma una cosa è il pensiero, un’altra l’atto e un’altra ancora l’immagine dell’atto. La ruota della causa non gira fra di loro. Una visione ha reso debole quest’uomo. Egli era all’apice del suo agire, quando lo commise: ma non ne sopportò l’abbaglio, una volta commessolo. Allora si considerava l’autore di un unico atto. Follia era la sua: l’eccedere si trasformò in lui in essenza. La via tracciata e il colpo inferto paralizzò la sua ragione, e questo fu il suo gesto sconsiderato.

Ascoltate ora, giudici! Sentirete un’altra follia, se voi raschiate abbastanza a fondo in quest’anima. Perché per voi egli voleva ingannare. Ma io vi dico che egli ora agogna felicità e amore soltanto. Ma la sua povera ragione non comprese quella follia e lo convinse. Che importa ormai il passato, egli non vuole più fare una follia, ma vuole prendersi una redenzione! Non vuole vergognarsi della sua follia, ma non grava più sulla sua ragione. Ora vuole scuotere il capo, senza carico.

Cos’è ora quest’uomo? E’ una mente che si rivela al mondo: dove le parole sono la sua preda. E’ una matassa di pensieri che vanno in giro a cercar nel profondo. Guardate quest’uomo: ciò che esso patì e bramò, la sua povera anima lo interpretò – come piacere di vivere e avidità dell’essere felice. Chi oggi è malato, viene assalito dal male: egli vuole far bene, con ciò che fa bene: la poesia! Ma ci furono altri tempi e un altro bene e male. Una volta il male lo faceva patire e soffrire. Ma ciò non vuole più entrare nelle sue orecchie e non persevereranno più il male. Molti che contraggono la follia di essa periscono, come deboli menti. Io vorrei che la loro follia si chiamasse Verità, Fedeltà o Giustizia; e che avessero la loro virtù per vivere a lungo e in un decoroso benessere. Io vorrei essere una ringhiera accanto al fiume: si afferri a me chi può afferrarsi! Ma io non sono la vostra gruccia.

Antonio Zoretti