LADDOVE… [ su “Trobar leu” di Simone Giorgino]
di Antonio Zoretti –
Laddove Platone pensava che “i poeti mentono troppo”, e perciò auspicava loro l’esilio, Giacomo Leopardi, pur credendo la stessa cosa, era comunque convinto che la poesia salva la vita. Essa accoglie la festa arcaica, cioè l’occasione per elevarsi al di sopra del dominio del dolore della vita: la cura che dà i natali alla filosofia, alla scienza, alla tecnica. Ultima spiaggia prima dell’annullamento dell’uomo.
Ecco; il ‘nostro’ Simone Giorgino eccede con la sua poetica esitata, mantenuta a galla, creando sospensione, lasciando tracce, residui, nel suo “Trobar leu”: un percorso di versi persi che cercano di trovarsi viaggiando in un condotto che non porta ad una meta. Polveri lasciate dal tempo che volano col vento vorticando in aria, restando in vena per l’amore che viene. Note svanite, divertite, rimembrate. Canti di lei o lui, riguardanti. Vanità della rima. Stralci di un poema ancora muto. Una luce che a poco a poco appare, che serba ancora la forma della nascita, una larva pellegrina e muta, che ritorna alla terra con “un biondo granello ramato e poi più niente: l’angelo è volato.”
Forse non ci è dato sapere perché i poeti mentono troppo. Socrate e Leopardi non erano di coloro a cui si poteva chiedere il perché. Era già troppo per loro conservare le proprie opinioni, e più di un pensiero se ne volava via, come l’angelo appunto. Già, ma anche Leopardi era un poeta; mentiva allora? Certo è che i poeti credono tutti che chi aguzza bene le orecchie scopre alcuni misteri che si trovano fra il cielo e la terra e che la natura stessa si sia innamorata di loro, e specialmente al di là del cielo dove tutti gli dei siano simbolo dei poeti.
“Ah, come sono stanco di tutto quanto è insufficiente, che deve essere per forza un evento!” – diceva qualcuno. Ah, come sono stanco dei poeti ! Fanno parte ormai dei conciliatori, conciliano le masse che di questo hanno bisogno. Certo, in loro si trovano perle: ma tanto più simili sono tra di loro come pietre. Sono vanitosi come il mare: che è il pavone dei pavoni! In verità, il loro stesso spirito è il pavone dei pavoni e un mare di vanità! E di questo spirito io mi sono stancato; e vedo venire il tempo in cui esso si stancherà di se stesso. Penitenti dello spirito ho visto venire: essi si formano tra di loro”.
Ma ridire Socrate, Leopardi ecc., farsi nemici i poeti, amare Leopardi facendo finta di non amarlo è una umile discussione; ripensare Socrate come risposta all’apparente disamore è amore ulteriore. La poesia è amore della vita, un amore tanto passionale da essere violentemente possessivo ed incontrollabile, eccedente. Simone Giorgino ha saputo essere eccessivo, ha riportato una eccessività antica, arcaica, di un dire senza volontà, senza problemi, senza dialettiche, senza aforismi, senza metafore; come un ultimo guizzo d’impeto negli occhi. Simone è un poeta di oggi e di un tempo passato, ma c’è in lui anche qualcosa che è di domani e dopodomani e di un tempo avvenire. Egli va oltre a quel poco di voluttà e di noia a cui è stata finora relegata la menzogna dei poeti. Eccedere le forme: di questo si tratta, e in questo caso Giorgino è stato unico. L’unicità di Simone: tra i tanti duri crostacei che il mare riversa sulla terra ogni tanto appare una buona perla!
Antonio Zoretti
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