di Antonio Stanca –

Documentarista e regista televisivo e cinematografico, Péter Gárdos è nato a Budapest nel 1948 da genitori ungheresi di origine ebrea scampati ai campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale e sposatisi nel 1946. Agnes e Miklós si chiamavano quei genitori e della loro vita, dei luoghi sconosciuti, pericolosi che avevano attraversato, di quanto avevano sofferto Péter dirà nell’unico romanzo che finora ha scritto, Febbre all’alba. Risale al 2014 e quest’anno Bompiani lo ha riproposto nella serie “I Grandi Tascabili Bompiani” con la traduzione di Andrea Rényi. Anche un film ha tratto Péter e premiato è stato come molti altri suoi lavori. Di Febbre all’alba si sta provvedendo alla traduzione nelle lingue di trenta paesi del mondo. A muovere il figlio verso quest’opera erano state le tantissime lettere che i genitori si erano scambiati prima di sposarsi, quando stavano in campi profughi diversi, e che la madre gli aveva fatto vedere dopo la morte del padre. Non aveva mai saputo che la conoscenza tra i genitori era avvenuta per corrispondenza anche perché mai ne avevano parlato in casa. Era tanto l’amore che li teneva uniti anche da sposati che non c’era stato bisogno di ricordare quello precedente. In una condizione di continuo trasporto, d’immenso affetto, d’incanto, di meraviglia, erano vissuti da quando si scrivevano soltanto a quando erano diventati marito e moglie.
Da quelle lettere traspare la passione che li aveva travolti già prima che si vedessero e a questa vuole dar voce Péter tramite il romanzo. Percorso in continuazione sarà da brani delle lettere del padre o della madre, qui diventata Lili, non ci sarà momento, evento della vita privata o pubblica che non si rifletta in esse accompagnato da espressioni, parole che dicono del loro bisogno di sentirsi, di pensarsi, della loro necessità di amarsi.

Erano sopravvissuti entrambi all’Olocausto di Debrecen, in Ungheria, erano scappati, lui gravemente ammalato, lei completamente nuda e poi copertasi con un giaccone militare. Non si conoscevano, ognuno dopo esperienze, sofferenze, privazioni diverse, aveva attraversato l’intera Europa prima di giungere al proprio campo profughi in Svezia. Qui lui, appassionato di letteratura, amante della scrittura, autore di poesie, aveva pensato di scrivere centodiciassette lettere alle altrettante donne che si trovavano nell’altro campo. Tra le poche che avevano risposto una, Lili, aveva attirato la sua attenzione e con questa aveva iniziato una corrispondenza durata molti mesi e culminata nel loro amore, nel loro incontro, nel loro viaggio di ritorno in Ungheria, nel loro matrimonio, nel figlio Péter.

Erano state tante le vicende che avevano attraversato, le persone che avevano conosciuto, i problemi che avevano avuto e di tutto scriverà Péter nel romanzo desumendolo dalle lettere dei due e dai racconti della madre. Erano gli ultimi anni della guerra, al padre era stata diagnosticata una grave forma di tubercolosi. Lui non l’aveva accettata, non aveva voluto arrendersi alla malattia soprattutto quando aveva cominciato a scriversi con Lili. Si era convinto che l’amore lo avrebbe salvato dalla morte che gli veniva preannunciata. Come lei anche lui crederà il loro rapporto tanto importante da aiutarli a superare qualsiasi ostacolo. Così sarà anche se tanti saranno quegli ostacoli.

Una ricostruzione, una rivisitazione della vita dei genitori compie Péter nel romanzo, vero è quanto dice e vera è la storia dell’Europa con la quale lo combina passando continuamente dalla dimensione individuale a quella collettiva. Di una serie interminabile di eventi risultò composta quella storia, di una grande quantità di notizie, ne arrivavano da tutte le parti, erano di ogni genere, confermavano, negavano quanto si era appena saputo. Una situazione gravissima, confusa si era creata con i tedeschi diventati sempre più feroci mentre si ritiravano. Tra tanto male due giovani fuggivano ognuno per proprio conto finché non si erano incontrati.

Non poteva rinunciare a dire di una simile vicenda il figlio di quei giovani, di quanto c’era stato prima, dopo e intorno a loro. Nel romanzo è lui a parlare ma erano stati loro a vivere quelle terribili esperienze, a rimanere indifesi, smarriti tra tanta rovina, a sperare di farcela, a cercare la vita, a trovarla, ad identificarla con l’amore.

Saranno i protagonisti dell’opera, i personaggi più importanti, campeggeranno su uno sfondo costituito da tanti popoli, il loro caso risalterà sopra tutto e tutti, un esempio, un messaggio destinato a valere per sempre diventerà anche perché da storie vere, da persone vere era venuto.  

Antonio Stanca