di Antonio Stanca –

Il grembo paterno è il titolo di un recente romanzo di Chiara Gamberale. Lo ha pubblicato nel 2021 ed ora è comparso in seconda edizione presso l’“Universale Economica” della Feltrinelli.

Gamberale ha quarantasei anni e molto ha fatto, molto ha scritto, molto successo ha avuto. Si è laureata a Bologna, ha esordito nella narrativa quando era poco più che ventenne, si è impegnata presso la televisione, la radio, ha fatto giornalismo, ha creato il festival “Procida racconta”, si è rivelata un ottimo esempio di intellettuale moderno, quello che, pur se impegnato nelle sue opere, non trascura quanto succede nella cultura, nella vita, nella società del suo tempo. Vi prende parte, diventa una delle voci più autorevoli e ne trae alimento per il suo lavoro letterario. Dei romanzi della Gamberale non c’è uno che non risenta di quanto avviene nell’attualità, dei problemi di carattere individuale, sociale che la caratterizzano, delle difficoltà sopraggiunte nei rapporti, negli scambi, nelle comunicazioni dalle più lontane alle più vicine; che non lasci intravedere la figura dell’autrice, le sue esperienze da quando era bambina alla donna d’oggi; che non assuma il tono, la piega della confessione, del diario; che non dica di lei e di altre donne, del suo e di altri casi. Documenti di vita si può dire di questi romanzi, neanche quando è scrittrice la Gamberale rinuncia ad essere l’intellettuale impegnata nell’osservazione, nella valutazione dei fenomeni, degli avvenimenti, dei costumi del momento.

Così pure ne Il grembo paterno dove, intorno alla protagonista Adele e alla piccola figlia Frida, si muove un intero universo femminile. Tutto succede tra Roma e dintorni, tra la città e i paesi vicini, la campagna, il mare, tra Adele, la sua malattia, le sue cure, la sua rubrica in televisione, i suoi amori, sua figlia e le tante altre donne, bambine, ragazze, giovani, vecchie, madri, figlie, mogli, amanti, che della vita di Adele entrano a far parte nel corso dell’opera. È un movimento che non si ferma, che si rinnova, cambia in continuazione e che il linguaggio della scrittrice riesce a rendere nella sua varietà, nella sua mobilità poiché come queste diventa. Passa da una circostanza ad un’altra, da un argomento ad un altro, li insegue, li coglie tutti, tutti li continua, nessuno trascura. Suggestivo è l’effetto che ne deriva anche se una certa fatica richiede a chi legge dovendo spostarsi in continuazione tra prima e dopo, avanti e indietro, dovendo partecipare di una storia che sembra non finire mai, che ritorna, riappare sempre. Una storia che non è solo quella di Adele, della sua vita difficile da quando era bambina, della sua salute fisica e psichica, dei luoghi di cura, della fuga a Roma, della maternità, della piccola figlia, del lavoro, dell’amore tra compagni di scuola e di quello per Nicola, il pediatra di Frida, della loro separazione, della sua desolazione, della riconquistata fiducia nell’avvenire, ma è anche la storia delle tante persone che hanno popolato l’esistenza di Adele, in particolare delle tante donne che ha conosciuto in tutte quelle esperienze e delle quali spesso è diventata amica, confidente. È una storia lunga, infinita e a narrarla è Adele, è lei a parlare per l’intera opera, a fare del romanzo, come altre volte nella Gamberale, un’interminabile confessione della sua e di molte altre vite. È un’umanità femminile intera, immensa quella che emerge da questa Gamberale. È come se la scrittrice avesse voluto procurare un riconoscimento a quell’umanità, liberarla da quanto la teneva nascosta, svelarla in tutti i modi, gli aspetti che aveva assunto.

Quasi guidata dalla sua Adele, leggera, libera procede la scrittrice in un percorso così ampio, così articolato. Non si propone una sola tappa ma tante e tutte le raggiunge, tutto dice di quanto può succedere oggi ad una donna!

Antonio Stanca