di Antonio Stanca –

A Marzo dell’anno scorso, chiusa nella sua casa in California perché in piena pandemia di Coronavirus, Isabel Allende ha scritto Donne dell’anima mia, lo ha pubblicato e a Novembre è stato proposto in Italia da Feltrinelli nella serie “Narratori” con la traduzione di Elena Liverani. Non è un romanzo né un racconto “…ma solo una chiacchierata informale”, come lei ha detto. Ripercorre, l’Allende, la sua vita soffermandosi sui momenti più importanti e in particolar modo su quanto da lei e da altre donne è stato fatto in qualità di femministe, di sostenitrici, collaboratrici del movimento di emancipazione femminile che ha rappresentato un evento di rilievo nel corso del XX secolo.

Isabel Allende è nata in Perù, a Lima, nel 1942 ma quando aveva appena tre anni la madre si era separata dal marito ed era tornata con lei e gli altri due piccoli figli in Cile presso la casa dei genitori. Qui rimarranno fin quando la donna, risposatasi con un diplomatico, sarà costretta a seguirlo insieme ai figli in diverse parti del mondo. Rientreranno, infine, in Cile dove Isabel, a vent’anni, si sposerà, avrà due figli e inizierà a scrivere per alcuni giornali, sarà incaricata di redigere dei servizi importanti. In seguito al colpo di stato di Pinochet nel 1973, Isabel e il marito riparano in Venezuela ma poi divorziano. Isabel si sposerà di nuovo, col secondo marito nel 1989 si stabiliranno in California e staranno insieme fino al 2015. Nel 1992 muore la figlia Paula a causa di una malattia molto grave. Allora Isabel aveva cinquant’anni, il lutto la scuoterà, scriverà il romanzo Paula. A settantatré anni, separatasi di nuovo, si sposerà per la terza volta e continuerà a risiedere in California. Prima della California era stata a New York, aveva insegnato Letteratura in alcuni college ed aveva ottenuto la cittadinanza americana.

Ora la Allende ha settantanove anni e se si pensa che ad un percorso come il suo, così difficile, così tortuoso, è da aggiungere la produzione letteraria, i suoi romanzi, i suoi racconti, non rimane che meravigliarsi, chiedersi come abbia fatto a diventare la scrittrice tanto letta, tanto tradotta, tanto premiata pur con una vita così complicata. E la meraviglia aumenta considerando l’ampio lavoro da lei svolto anche come giornalista, i suoi viaggi, la sua presenza, la sua partecipazione ad importanti manifestazioni, di carattere nazionale e mondiale, volte all’affermazione, alla difesa, alla proclamazione dei diritti, dei bisogni, dei valori umani, civili, sociali ove fossero ignorati od offesi. In questo ennesimo aspetto del suo impegno morale, intellettuale, della sua ricca personalità, rientra l’interesse, l’attività dell’Allende per il problema femminile, per progettare, organizzare movimenti di contestazione, opposizione a quanto da secoli è rimasto invariato riguardo alle donne, al loro stato di sudditanza rispetto all’uomo, alle loro sofferenze, ai loro drammi. Tale condizione era ormai diventata un elemento costitutivo della vita, della storia, un modo di pensare ampiamente accettato, condivisoe non è facile rimuovere una concezione, una convinzione quando è così radicata, così diffusa. L’importante, però, è aver cominciato, dice l’Allende in questo libro, l’importante è non scoraggiarsi ma pensare che si deve continuare nella lotta intrapresa dal movimento femminista, nelle sue rivendicazioni, nelle sue richieste. E moltissimi esempi di personaggi, soprattutto femminili, sono citati nell’opera insieme alle azioni da loro compiutein difesa delle donne, del loro diritto a vivere una vita libera. Moltissime vicende, situazioni sono riportate da tante parti del mondo a dimostrazione della gravità del problema nel quale ha versato e versala donna.

Tanto aveva da dire l’Allende a questo proposito, tanto da far sapere e lo fa mentre parla della sua vita, dall’infanzia alla maturità. Ne risulta un discorso semplice, facile, simile ad uno scambio tra amici, ad una confidenza.

In verità è stato sempre questo il suo modo di scrivere, lo ha usato anche nei romanzi, nei racconti. Faceva parte delle richieste del moderno movimento letterario cileno “novisimaliteratura”, al quale l’Allende aveva aderitopur nei contenuti che si volevano tratti dalla realtà, dalla storia, dalla cultura locale. Ed anche se il suo realismo non aveva disdegnato l’invenzione, la favola, il mito, dalla realtà della sua casa, dalla sua e da quella di altre donne aveva ricavato tanti personaggi delle sue opere. Femminili erano stati molti di questi e particolari nei loro atteggiamenti, nei loro propositi. Dal primo romanzo, La casa degli spiriti del 1982, che la rese subito nota, a La città delle bestie, Eva Luna, Il mio paese inventato e tanti altri compresi i romanzi storici, la donna sarebbe risultata una presenza importante, si sarebbe fatta notare perché diversa rispetto alle regole diffuse, all’ambiente costituito. Avrebbe avuto pensieri, avrebbe compiuto azioni che non dipendevano dagli altri. Pertanto la posizione di femminista che in quest’ultima opera l’Allende ha dichiarato e documentato era in lei comparsa già da tempo, l’aveva mossa fin dagli inizi della sua attività di giornalista e scrittrice nonché della sua vita di figlia, di moglie, di madre. Aveva avuto tanto bisogno di difendersi,le erano successe tante cose, aveva dovuto imparare tanto, aveva fatto tanto che forte, sicura era diventata al puntoda poter insegnare alle altre, a quelle che ancora non sapevano.

Questa è la figura che emerge da Donne dell’anima mia, una figura che affascina, seduce, che fa dimenticare la scrittrice e pensare alla donna.

Antonio Stanca