di Antonio Stanca –

L’anno scorso Einaudi, nella serie Super ET, ha ripubblicato Certi bambini, romanzo dello scrittore napoletano Diego De Silva. Lo aveva scritto agli inizi della sua attività letteraria, nel 2001, quando piuttosto crude, tese erano le atmosfere delle sue opere, quando non era ancora maturata quella maniera che lo avrebbe portato ad una distensione nei temi e nei modi.

De Silva è nato a Napoli nel 1964, scrive su giornali e riviste, s’interessa di cinema ma soprattutto alla narrativa, racconti e romanzi, dedica il suo tempo. Vive tra Salerno e Roma. Molto premiate e tradotte sono state le sue opere e Certi bambini oltre a numerosi premi ha avuto pure una riduzione cinematografica. In effetti leggendo il romanzo sembra di assistere ad una rivelazione, di partecipare di una scoperta, quella della vita dei più giovani, dei bambini, in una città come Napoli, da sempre esposta alle tentazioni della malavita, ai modi e ai mezzi richiesti da situazioni di disagio economico, di mancata moralità. In una vita percorsa dalla violenza avviene pure quella di “certi bambini” che l’hanno dovuta accettare, che ad essa hanno dovuto adattarsi. La povertà, l’ignoranza, il vizio li hanno portati su quella strada e De Silva ha creduto importante, necessario far sapere di questo fenomeno. I “certi bambini” del romanzo sono quelli dei quali uno, Rosario, è il protagonista, ha undici anni, vive di furti, rapine, minacce, vendette, risse, fa sesso, uccide. Gli altri, Marcello, Vito, Damiano, Brasile, Matteo, Aniello, Nicola, Carmelo, Gaetano, non sono da meno, ma è attraverso Rosario che lo scrittore fa sapere di loro, che si addentra in quella grave, oscura realtà che tutti li comprende, che costituisce la loro vita. E’ un’altra vita e De Silva ha voluto parlarne perché utile ha creduto che fosse alla formazione di una coscienza civile, sociale che non lasciasse da parte alcuni problemi ma tutti li comprendesse. Da questa intenzione è venuta l’idea di Certi bambini, dal proposito di far vedere come vivono, cosa fanno da soli o in gruppo, in casa o fuori, come avviene la loro maturazione, quali sono i loro pensieri, le loro azioni. Un esame ha fatto lo scrittore di cosa succede in loro, di cosa li spinge a comportarsi in maniera così diversa da tanti coetanei, ad accettarla, ritenerla l’unica possibile. Una rappresentazione ha fatto delle tante situazioni, circostanze, vicende alle quali volontariamente si espongono, dei luoghi, dei pericoli, dei rischi che corrono in maniera continuata, senza sosta.

Com’è possibile che sia diventata normale una vita simile per dei bambini? Sembra  questa la domanda che dovrebbe risaltare ad ogni pagina del libro. Invece nessuna meraviglia traspare ché convinto, sicuro procede l’autore nel suo linguaggio, nella sua esposizione mostrando che non casi eccezionali sono quei bambini, che non si verificano raramente ma fanno parte della quotidianità, sono un suo aspetto. Non un segreto, quindi, è la loro malavita ma una realtà della quale si evita di parlare senza tener conto che in questo modo la si aiuta a continuare, ad acquisire una propria ragione, ad allontanarsi sempre più da una soluzione.

Antonio Stanca