di Marcello Buttazzo –

I poeti appartati sono luce diffusa, bagliori d’aurora, perché nel loro sangue scorre il fiume della vita. I poeti solitari sono anime di burro, sono pane cereale, nel loro intimo naviga tutto il bene del mondo. Un poeta salentino riservato, schivo, è stato ed è Tonino Vincent Caputo, deceduto il 6 gennaio di quest’anno. Lui era nato ad Ascoli Satriano, in provincia di Foggia, abitava a Sanarica. Un autore lucido, che viveva ai margini di questo mondo, di questa società talvolta ipocrita. Un poeta che ha saputo nei suoi elevati versi evocare l’amore vissuto, quello platonico, l’amicizia, la bellezza umana, la neghittosità e la superficialità d’un tempo che non sa riconoscere, non sa vedere i suoi figli migliori. Come Salvatore Toma, nelle poesie di Tonino domina una Natura pura, incontaminata, illesa; di contro, l’invasività prorompente dell’uomo moderno che costruisce tentacolari cattedrali di cemento, sporca e sposta continuamente gli equilibri ecosistemici. Sabato 21 maggio, Tonino Caputo è stato omaggiato da un gruppetto di amici e compagni con parole, poesie (le sue) e musica presso una Chiesa di Sanarica. Penso di aver conosciuto Tonino, un po’ di anni fa, a Gemini e a Vignacastrisi, in qualche reading poetico, in qualche “Canto alla luna”, organizzato da Roberto Molle, legato a lui da fraterna amicizia. In questi giorni, il caro Vito Antonio Conte mi ha procurato una silloge di Tonino Vincent Caputo dal titolo “Muse”, pubblicata nel 2009 da Luca Pensa Editore, nella Collana alfaomega.

Ho fatto una “conoscenza” più diretta con l’anima pulsante d’amore di Tonino. Mi ha entusiasmato la lettura dei versi del poeta di Sanarica, perché sono l’espressione d’uno spirito cristallino, d’un uomo pulito che non conosce orpelli, meschinità e viltà. Un uomo onesto con il proprio sé e con gli altri, che sa gettare ponti conoscitivi, che fa balenare senza ritrosie le sue ferite, che si mostra nudo, ma corazzato d’una potente dignità. Prima di aggiungere qualche altra considerazione, vorrei far parlare Vito Antonio Conte, che nella prefazione con chirurgica precisione afferma: “So (o credo di sapere) che Tonino ama i luoghi di confine, quelli dove l’incerto è di casa, dove non crescono i mondi assurdi costruiti dall’uomo, dove l’uomo ha ancora una possibilità di salvezza, dove la solitudine è compagna e ti tiene la mano intanto che le assenze emergono e s’annullano nel d’intorno (ch’è regno della Natura)”. Tra le altre cose, Tonino, nel 2004, per motivi di conoscenza, ha compiuto un viaggio negli ex campi di concentramento nazisti; tale esperienza si è sostanziata in “Diario d’inverno” (inedito). La raccolta di poesie “Muse” è un viaggio di un’anima amante, che ha conosciuto il dolore, la delusione, ma anche una passione vibrante e veemente, le scaturigini del bello, la venustà di chi, grazie al medium della parola, riesce a comunicare un caleidoscopio intenso. In “Muse” campeggia la Natura dirompente, di panico splendore. Tonino, negli anni passati, ha abitato a Maglie. E nei suoi versi c’è quell’incedere naturalistico e vergine, che si ritrova nel grande magliese Salvatore Toma. A un certo punto, Tonino canta: “Dimentico il mondo/e la sua ipocrisia/vorrei far parte/di questa natura, /essere un albero, un uccello, /perfino terra, /pur di non tornare/tra gli uomini, /e restare qui per sempre/”. Serrata e la critica del poeta contro l’Homo sapiens sapiens che non comprende più la madre Terra e la distrugge, innalzando alveari umani di cemento. Molto intensi sono i versi d’amore, giocati nei chiari e scuri di felicità e di travaglio, di caduta e di risalita. Parimenti, sovente, si leva la voce del poeta contro i falsi moralisti, contro i fautori d’una comunanza fittizia e meschina. Ho trovato la carezza donata da Tonino ai vecchi e agli amici scomparsi. Il ricordo del passato è vivo, forte è la reminiscenza. E, in effetti, senza germi vitali di ricordanza noi uomini, noi donne, saremmo davvero poca cosa. Dobbiamo sempre amare e rammentare. E magari leggere con attenzione i versi di Tonino Vincent Caputo.

Una poesia di Tonino Vincent Caputo

Grano, il vento muove
le tue bionde chiome,
mentre il sole
le illumina.
Grano vorrei essere vento
per accarezzare le tue
bionde spighe, vorrei
essere sole per illuminarle.
Ma sono soltanto luna,
che da lontano emana
la sua debole luce,
e sembra che sorrida.

Marcello Buttazzo