di Antonio Stanca –

Lo scorso Luglio, nella serie “I Classici del Giallo Mondadori”, è comparso il romanzo La barchetta di cristallo di Augusto De Angelis. Nato a Roma nel 1888 è morto a Como nel 1944. Aveva cinquantasei anni, era stato soprattutto giornalista e scrittore. Di carattere poliziesco era stata la sua narrativa, il commissario De Vincenzi il suo personaggio principale, la Milano degli anni Trenta l’ambiente preferito. Anche per il teatro aveva scritto De Angelis ed anche traduttore dal francese e biografo era stato.

Aveva raggiunto una certa notorietà grazie alla figura di quel commissario che aveva reso nuova, diversa, meno distaccata, più umana rispetto al modello dell’investigatore inglese dal quale derivava. Con De Angelis si diceva di un nuovo genere di giallo, del giallo italiano. Contrastata fu, però, la sua attività dal regime fascista. A causa dei suoi articoli sulla “Gazzetta del Popolo” venne arrestato e rilasciato dopo parecchio tempo. Infine, nel 1944, successe che a Bellagio venisse malmenato, picchiato da un “repubblichino” e morisse poco dopo nell’ospedale di Como.

Dimenticata per molto tempo sarebbe andata tanta parte della sua opera finché nel 1963 lo scrittore Oreste del Buono non ha provveduto a pubblicare alcuni suoi romanzi presso Feltrinelli e finché la televisione, negli anni ’70, non ha fatto conoscere alcune sue opere tramite sceneggiati interpretati da Paolo Stoppa. Dal 2017 Mondadori ha avviato la pubblicazione di suoi romanzi fino a giungere, anche se con intervalli piuttosto lunghi, alla serie “Classici Oro” alla quale appartiene La barchetta di cristallo. De Angelis lo scrisse nel 1936 e davvero originale risulta rispetto alla scrittura poliziesca alla quale si era abituati, davvero un nuovo giallo può essere considerato. Il commissario De Vincenzi non solo è più buono, più semplice dei suoi predecessori ma giunge a non farsi notare, a scomparire tra gli avvenimenti, i personaggi del romanzo, ad agire senza che nessuno se ne accorga. Ambientata nella Milano degli anni Trenta la vicenda riguarda i frequentatori del Circolo detto Decamerone, dove si fa cultura, spettacolo ma si gioca d’azzardo, si fuma oppio, dove convengono persone di nobile casato, uomini, donne, ma anche mercanti, viaggiatori, usurai, dove accade di tutto, di lecito e illecito, di vero e falso, di bene e male. Dal Decamerone comincia il problema che vedrà impegnato il commissario De Vincenzi per l’intera opera, che si complicherà nei modi più imprevedibili, che coinvolgerà tutti i soci del Circolo in un intrico di prestiti, debiti, polizze, cambiali, denaro liquido, gioielli. C’era una via tra Shanghai e Milano, era fatta di droga, di pietre preziose e ad essa risaliva la preziosa “Barchetta di cristallo” che si trovava nella casa del signor Marco. Era questo uno dei due usurai che frequentavano il Circolo e che saranno uccisi lui all’inizio e l’altro alla fine dell’opera. Ma ucciso sarà pure il ricco marchese Goffredo da un suo nipote che aspirava all’eredità e a sottrarla alla bella e più giovane moglie Delia. Nella notte che al Decamerone sarà trovato ucciso il primo usuraio verrà ucciso il marchese nella sua casa e la bella signorina Margaret, quella che aveva urgente bisogno di soldi, sarà trovata legata e narcotizzata nella casa di quell’usuraio. La morte dell’altro verrà dopo e sarà per mano della marchesa Delia. Un’esistenza peccaminosa, scandalosa era quella dei soci del Decamerone, ai vizi più gravi si concedevano, alle azioni più dissolute. Erano avidi di ricchezze, malati di vanità, vittime dei piaceri, del gioco, del sesso, del fumo, della droga. Vi erano tutti implicati in quegli omicidi, tutti avevano avuto la loro parte vicina o lontana. Tanti segreti, tanti misteri si erano addensati su di loro e De Vincenzi crederà di non farcela a scoprire la verità, a far valere la giustizia. Ci riuscirà, invece, farà emergere quanto si celava dietro le apparenze, quanto avveniva senza che si vedesse. Sarà un percorso lungo al quale non mancherà la nota comica, l’umorismo proprio del De Angelis. E’ il modo che usa per ridurre la tensione che certe situazioni procurano, attenuare l’allarme che una parola, uno sguardo, un gesto può destare all’interno della narrazione. Fa pure ridere lo scrittore ed anche per questo è nuovo nella tradizione della letteratura poliziesca, anche per questo va ammirato.

Antonio Stanca