Il fine vita di Antonio
di Marcello Buttazzo –
Dopo Federico Carboni, anche il marchigiano Antonio, tetraplegico da 8 anni dopo un incidente stradale, potrà ricorrere in Italia al suicidio assistito. Antonio, dopo una guerra di tribunali, ha visto accolte le sue istanze dal Comitato etico e dall’Azienda sanitaria locale. E, così quando vorrà, potrà porre fine alla sua vita terrena con un farmaco, senza il bisogno, ad esempio, di dover migrare in una clinica svizzera. Antonio, quando vorrà, potrà stringere le mani dei suoi cari, perché la vita è intangibile e, al contempo, disponibile, ma soprattutto il momento del trapasso è sacro. Il giovane è stato assistito, in questa sua battaglia, dall’Associazione radicale Luca Coscioni, che dal 2001 si batte con umanità per veder riconosciuti i diritti dei diversamente abili e per poter applicare, anche nel nostro Paese, adeguate e liberali leggi sul “fine vita”. Comunque, è evidente che da noi esista un gravissimo vulnus normativo. La Corte Costituzionale, da anni, ha sollecitato il nostro Parlamento a legiferare su una delicata terra di confine. Le proposte di legge sul suicidio assistito e sull’eutanasia sono sempre state affossate. L’iter della legge “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita”, avviato nel dicembre 2021 alla Camera, è stato contrastato aspramente dal centrodestra. Occorre sgombrare il campo da un equivoco, sponsorizzato arcignamente dai gruppi pro-life più oltranzisti. Affidarsi, in certuni casi estremi, alla “dolce morte” non vuol dire “eliminare” la vita del più fragile. Chi sceglie la “morte opportuna” (per dirla con le parole di Piergiorgio Welby), lo fa solo, in casi particolari, sotto le direttive d’un rigoroso quadro etico, medico e normativo, in caso di fallimento, tra le altre cose, delle cure palliative.
Marcello Buttazzo
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