di Antonio Stanca –

«Tutto ciò che ho praticato finora, lo chiamo opera d’amore…
Medea sono adesso, cresciuta è la mia natura grazie alla sofferenza».
Seneca, Medea

La scrittrice tedesca Christa Wolf è nata a Gorzóv Wielkopolski, Polonia, nel 1929 ed è morta a Berlino nel 2011. Aveva ottantadue anni, era vissuta generalmente nella Repubblica Democratica Tedesca. Non aveva scritto solo romanzi e racconti ma anche poesie, diari, saggi critici e tanto altro aveva fatto in ambito pubblico, politico, sociale. Una scrittrice impegnata era stata, nota era diventata anche in ambito straniero, una delle più importanti del Novecento è considerata. Marxista convinta aveva creduto nella funzione educativa dell’opera letteraria, nella sua capacità di sensibilizzare, formare le coscienze. Destinata agli altri, al pubblico doveva essere, i temi, gli argomenti, i problemi trattati dovevano servire ad istruire. Tra questi ricorrente sarebbe risultato, nella sua produzione, quello della vita, della condizione della donna che non si era ancora liberata degli ostacoli, dei freni, dei limiti che le venivano dal passato, che ancora non aveva visto riconosciuti i suoi diritti. Del femminismo avrebbe scritto in tante opere a cominciare dal primo romanzo, Il cielo diviso, del 1964. E non solo attuale, come in questo, sarebbe stata l’ambientazione, non solo di situazioni, persone dei nostri tempi avrebbe detto ma anche di quelle dei tempi passati, quando non remoti, dei tempi della leggenda, del mito, dell’epica. Era successo con Cassandra, romanzo del 1983, nel quale la Wolf ripercorre la storia della mitica figlia di Priamo, re di Troia, condannata da Apollo a non essere creduta nelle sue profezie, e di nuovo succederà con Medea nel 1996. Saranno due romanzi molto significativi in tal senso. Di Medea è uscita quest’anno una ristampa per conto della casa editrice E/O, serie “Le Cicogne”. La traduzione è di Anita Raja. La postfazione di Anna Chiarloni.

Medea s’intitolava una famosa tragedia di Euripide e la sua prima rappresentazione era avvenuta nel 431 a.C. Era stata una delle prime opere volte a riprendere la leggenda della donna, della bella donna ferita dal tradimento del marito Giasone e per questo divenuta capace di uccidere i loro piccoli figli e la sua nuova donna.

Molti altri autori in seguito, nella storia, nei secoli, avrebbero detto nelle loro opere di questa leggenda interpretandola ognuno a suo modo. Nel 1969 Pier Paolo Pasolini ne avrebbe ricavato un film e come lui la Wolf avrebbe adattato alle proprie convinzioni, ai propri propositi quanto veniva da così lontano.

La scrittrice, nel romanzo, ripercorre per intero la leggenda di Medea. Inizia da quando era una bella ragazza, figlia del re della Colchide, sulle sponde del lontano, remoto Mar Nero. Qui era approdato Giasone che, con gli Argonauti, andava alla ricerca e alla conquista del Vello d’oro. Medea si era messa con lui contro la volontà del padre e con lui e gli Argonauti, con la loro nave aveva lasciato la Colchide per andare a Corinto. Gli aveva fatto trovare il Vello d’oro, avevano avuto due figli ma Giasone si era messo poi con la figlia del re di Corinto perché aspirava a succedergli sul trono. Medea si era vista ingannata, tradita dall’uomo per il quale tanto aveva fatto, aveva sfidato il giudizio del padre, abbandonato la vita del palazzo reale e intrapreso quella avventurosa dei viaggi in mare. Diversamente, però, dalla versione tradizionale, la Wolf non mostra Medea capace di diventare tanto crudele, tanto feroce da uccidere i propri figli e la nuova moglie di Giasone, né la vede capace degli altri reati che sia nella Colchide sia a Corinto le venivano attribuiti al punto da farla diventare il simbolo del male, della perdizione. Una strega era ormai per la gente di quei posti, scansata, evitata veniva. A tutto questo la scrittrice mostra di non credere, tutto questo attribuisce a quell’invidia, a quella rivalità che una persona nuova, diversa dal contesto come Medea può suscitare fino a procurarsi calunnie, maldicenze, fino a venire accusata di reati non commessi, di azioni gravi a lei sconosciute. Nel capro espiatorio, dice la Wolf, era stata trasformata Medea, di un malcostume diffuso, di misfatti che avevano tutt’altra provenienza e origine. Questi problemi erano iniziati nella sua terra, tra la sua gente ed erano continuati a Corinto. Qui si erano aggravati, si era giunti a processare Medea, a condannarla a morte: è il modo col quale la Wolf vuole mostrare quanto di grave può succedere ad una donna colpevole solo di essere stata diversa dalle altre, libera nelle azioni, nelle decisioni, nuova nei pensieri. Questo è Medea per lei e per questo le fa pagare un prezzo così alto. E’ uno degli esempi femminili più riusciti nel novero delle donne rappresentate dalla scrittrice. Le si potrebbe obiettare di aver adattato eccessivamente la leggenda ai propri intenti, di averla un po’ troppo ritoccata ma questo non riduce il valore del messaggio perseguito o della rappresentazione effettuata.

Più di Cassandra è riuscito Medea poiché più popolato è questo romanzo, tra più persone, di diversa età, formazione e provenienza, mostra la protagonista, contro tutti la mette ed anche se non la fa vincere le riconosce quella forza, quel coraggio che è necessario quando gli avversari sono tanti. Una femminista ante litteram vuole fare la Wolf di Medea, vuole attualizzare la sua figura, riportarla ai tempi moderni ma vuole pure procurare alle donne di oggi che rivendicano i propri diritti la possibilità di riconoscersi in esempi del passato, anche di quello più lontano.

                                                                                                                 Antonio Stanca