di Antonio Stanca

Ancora Calaciura, ancora la Sicilia, ancora Palermo, ancora i quartieri malfamati, i poveri, gli immigrati di questa città. L’anno scorso era stato con BorgoVecchio che lo scrittore aveva voluto narrare della vita che avviene in un vecchio e povero quartiere di Palermo, dove nemmeno le forze dell’ordine riescono a penetrare tante e tanto strette sono le vie, tante le illegalità che si commettono e si nascondono. Quest’anno è con Il tram di Natale, pubblicato dalla Sellerio di Palermo, che Calaciura è tornato sull’argomento. Non tanto ad un romanzo fa pensare, però, quest’ultimo suo lavoro quanto ad una favola, non tanto alla lingua della prosa sembrano appartenere tanti suoi tratti quanto a quella della poesia. Già l’idea di costruire un’opera intorno ad un tram che la vigilia di Natale compie la sua ultima corsa in una zona sperduta di Palermo, che oltre ai fari non ha altre luci essendo il suo interno rimasto al buio, che porta sei passeggeri che vivono in condizioni di grave disagio e che durante il viaggio scoprono abbandonato sull’ultimo sedile del tram un bambino appena nato e intorno a lui si raccolgono sorpresi, meravigliati, già tutto questo sa del mistero, del fascino proprio di una favola, della fantasia, dell’immaginazione propria di uno spirito poetico.

Giosuè Calaciura è nato a Palermo nel 1960, ha cinquantotto anni, vive a Roma ed oltre che scrittore è giornalista e conduttore radiofonico. I suoi romanzi, Sgobbo del 2002 e Borgo Vecchio del 2017, sono stati premiati. Sempre impegnato si è mostrato nelle sue opere a dire del grave stato materiale e morale nel quale versa tanta gente della Sicilia, ad assumere una posizione di denuncia, di accusa, a richiamare ad una correzione, ad una soluzione di problemi che sono divenuti sempre più gravi perché trascurati. Non c’è opera nella quale lo scrittore non dica della povertà, dell’illegalità che ancora permangono in molte zone dell’isola, in molti quartieri delle sue città, e del bisogno di sanare una simile situazione, di prenderne atto ed operare prima che il degrado assuma dimensioni incontrollabili. In quest’ultimo romanzo è tramite quei sei passeggeri che Calaciura mostra tali suoi propositi. Ognuno di essi porta con sé una storia di disagi, di privazioni, di sofferenze, ognuno conduce una vita ai margini, ai limiti estremi, alcuni sono immigrati e le loro condizioni sono peggiori. Tutti, però, quando scopriranno il bambino che viaggia con loro da solo nel buio di quel tram penseranno di essere diventati i personaggi di quel lontano presepe che si era formato in quella grotta a Betlemme. E come allora i pastori anche adesso i mendicanti della notte di Nataledi Palermo crederanno di trovarsi di fronte a chi li avrebbe salvati dal loro stato, li avrebbe riscattati.

Salirà, però, sul tram dopo un breve tratto un’infermiera che dirà di sapere di quel bambino, della sua storia, di sua madre, un’immigrata che lo ha abbandonato perché non le era possibile allevarlo, nutrirlo, farlo crescere. Nonostante tutto non si finirà di credere nel miracolo e il libro si concluderà all’insegna di un evento fuori dal comune, straordinario, divino.

Meno concreto è risultato stavolta Calaciura, più disposto a credere nel soprannaturale, nelle rivelazioni, nelle apparizioni. Dice di quel tram come di una stella cometa e non lo fa fermare alla fine della corsa ma lo fa proseguire per altre, nuove strade, messaggero lo fa diventare della “buona novella”.

Sorpresi lascia lo scrittore giacché altri elementi, altri aspetti, diversi da quelli soliti, ha assunto la sua opera, in un’allegoria si è trasformata della nascita del Bambino Gesù, la stessa importanza, la stessa funzione vuole avere. Tra realtà e fantasia, tra umano e divinorimane stavolta Calaciura e di quel bisogno di riscatto che non ha mai smesso di dichiarare necessario per la Sicilia fa un aspetto della più ampia redenzione voluta dal Cristianesimo.

Antonio Stanca