di Antonio Stanca –

In un’edizione speciale allegata al Corriere della Sera, su licenza L’Orma Editore,è uscito ultimamente il romanzo Memoria di ragazza della scrittrice francese Annie Ernaux. La traduzione è di Lorenzo Flabbi. L’opera risale al 2016, quando la scrittrice aveva settantasei anni. Ora ne ha ottantaquattro e nel 2022 è stata insignita del Premio Nobel per la Letteratura. Vive in Francia.

Era nata a Lillebonne, Normandia, nel 1940. Modeste erano le condizioni della famiglia. Lei era rimasta figlia unica dopo che una sorella nata prima era morta di malattia. Annie aveva studiato, si era laureata a Rouen. Si era dedicata all’insegnamento della Letteratura Francese. Nel 1964 si era sposata, aveva avuto due figli ma poi si era separata. Spirito acceso, infiammato si potrebbe dire del suo. I primi interventi saranno su giornali e riviste, i primi temi quelli della condizione femminile, della libertà, dell’autonomia che spettavano alla donna, della rivendicazione di questi e di altri diritti che le erano stati sempre negati. E non solo di femminismo si sarebbe alimentata la sua polemica giovanile ma anche di altri problemi sociali, di quelli comportati dai tempi nuovi, dalla vita moderna, dal passaggio dalla vecchia alla nuova generazione. Un’intellettuale impegnata sarebbe stata prima che una scrittrice e dal suo impegno sarebbero venuti i motivi della sua narrativa. La scrittrice non avrebbe saputo separarsi dalla donna, ne sarebbe stata la voce.

Agli inizi, però, succedeva pure che la Ernaux soffrisse per la sua condizione sociale, la sua provenienza. Umile, arretrato era l’ambito della sua famiglia e molte le difficoltà della giovane ad inserirsi nei nuovi ambienti che si andavano diffondendo. Erano difficoltà economiche, era la condizione sua e di alcune coetanee mentre per altre, di famiglie agiate, il problema non esisteva. Annie soffrirà per questa privazione, ne farà quasi una colpa della famiglia. La scuola, il contatto, il rapporto con i compagni di famiglie diverse, le differenze che sempre risaltavano nel modo di fare, di pensare, le procuravano problemi. Né servivano a liberarla la sua applicazione nello studio, i buoni risultati sempre raggiunti. Il disagio rimaneva e sarebbe stato quello ad orientarla verso la scrittura, a farle pensare di scrivere della sua condizione di esclusa, di inferiore. Già quando da giornalista era stata un’accesa femminista, quando aveva tanto parlato di giustizia, verità, libertà per le donne, si poteva intravedere questo bisogno di superare la condizione di partenza, quella famigliare, sociale, di annullare le differenze che ad essa risalivano.

Con la comparsa delle prime opere di narrativa, tra gli anni ’70 e ’80, il discorso della Ernaux si sarebbe fatto meno generico, più personale, più intimo. Si sarebbe notata quella tendenza all’autobiografismo che non avrebbe mai finito di segnare la sua scrittura. Era particolare la situazione che viveva, si sentiva capace, illuminata nei pensieri ma impedita, ridotta nelle azioni. La faceva tanto soffrire da pensare, fin da ragazza, di far giungere le sue cose agli altri, a tutti, di far sapere loro quali erano i suoi problemi, quale la sua vita, di scrivere di questa e farla leggere. Ma per fare della vita un’opera non basta riportarla, ricordarla, annotarla, non è sufficiente un libro di memorie o un diario, serve andare oltre la contingenza, superare, trascendere l’accaduto, perseguire finalità, idealità che valgano per tutti, nelle quali tutti possano riconoscersi, serve fare arte. Così sarebbe stato per la Ernaux: a cominciare dai primi romanzi, Gli armadi vuoti (1974), Quello che dicono o niente (1977), La donna gelata (1981), la scrittrice avrebbe attinto alle sue esperienze personali, la solitudine, la monotonia della vita coniugale, avrebbe usato il monologo interiore intramezzandolo con profonde riflessioni e con recuperi del passato più remoto, avrebbe preannunciato la futura sua maniera di essere scrittrice. Si sarebbe dedicata a raccontare la sua vita, a dire delle sue esperienze fondamentali, della sua formazione, di quanto l’aveva fatta diventare una delle testimoni più autorevoli del nostro tempo, le aveva fatto concepire, produrre opere capaci di indagare nella vita, nella società, nella storia, l’aveva trasformata in un punto di riferimento, un principio, una regola per tutti valida, per lettori e lettrici di ogni parte del mondo, le aveva fatto raggiungere il livello di un classico contemporaneo. Ci si riferisce, dopo quelli iniziali, a romanzi quali L’evento del 2000 e Gli anni del 2008. Quest’ultimo è stato ampiamente premiato e tradotto come è successo per altri compreso Memoria di ragazza. Qui i tempi che la scrittrice vuole ricordare sono quelli di un’estate in colonia dov’era andata nel 1958 per prestare servizio come educatrice. A scuola finita, dal suo paese, Yvetot, dalla sua piccola casa, era andata all’Orne. I nuovi posti, i loro ampi spazi, i nuovi ambienti, le nuove amicizie, l’avevano tanto rallegrata da farla sentire soddisfatta come mai lo era stata. Partecipava di una pienezza, di una totalità mai vissuta prima. Aveva appena diciannove anni, al ritorno avrebbe dovuto pensare all’Università. Tutto gli sembrava più facile perché più sicura, più convinta di sé era improvvisamente diventata. Tra tanti piaceri sarebbero venuti anche quelli dell’amore, del rapporto sessuale. Non li conosceva e non sarebbero stati privi di errori. Le avrebbero comportato dei problemi. Non era preparata, avrebbe sofferto gravi delusioni ma le sarebbero servite. Un’esperienza importante era stata quella della colonia se ad essa la scrittrice ha sentito il bisogno di dedicare la lunga narrazione contenuta in questo romanzo, se ha voluto ripercorrerla dopo cinquantotto anni senza omettere nessun particolare di quanto, persone e cose, vi aveva fatto parte. Era tanta la vita che da quell’esperienza era venuta alla ragazza, anche le amarezze erano state molte ma nonostante tutto l’avevano fatta diventare più grande e per questo non finisce mai di dire, nell’opera, quella voce narrante alla quale la Ernaux trasferisce il compito di riferire quanto da lei vissuto quell’estate. Un espediente che le permette di soffermarsi più a lungo sui propri pensieri poiché se li fa ripetere e approvare dalla voce. Un dialogo diventa quello che nelle altre opere era stato un monologo, più possibilità di valere acquista ogni argomento poiché doppia è la sua versione. Lo si potrebbe considerare un altro merito di chi scrive se non ne avesse già mostrati tanti!

Antonio Stanca