di Marcello Buttazzo –

Matteo Garrone con il film “Io capitano” è entrato nella cinquina dell’Oscar come miglior film internazionale. “Io capitano” è un viaggio disperato e poetico di poveri migranti, che traversano inferni di sabbia e mari turbolenti, prima di poter approdare sulle coste del mare nostro. L’arte non è mai accomodante, non è mai compiacente, si sa rivoltare contro lo status quo. Eugenio Bennato, in “Viva chi non conta niente”, sua bellissima canzone del 2020, sull’universo migrante, a un certo punto canta: “Evviva l’arte che si ribella/ e sennò l’arte che ci sta a fare”. La politica attiva ha il dovere di disciplinare, magari obbedendo a criteri di umanità e di accoglienza, il flusso di chi scappa dal dolore e dal travaglio. Le arti, il cinema, la poesia, la letteratura, la musica, possono far sentire l’urlo di chi è sottoposto quotidianamente ad abusi e ad angherie. Questa contemporaneità, a diverse latitudini, è fisiologicamente destinata ad affrontare i viaggi della speranza e dell’attesa di chi non vuole sottostare alle miserie, agli odi, alle persecuzioni etniche, alle guerre infinite, alla nera e invalidante indigenza, alle devastazioni ambientali. Purtroppo, nel mondo, per responsabilità soprattutto di noi occidentali, sempre avvezzi a strategie rapinose e di spoliazione, prevalgono ingiuste e impressionanti sperequazioni. Viva il film “Io capitano” di Garrone, che ci fa riflettere sulle ali della fantasia su una questione attualissima. Certa politica europea e internazionale è molto portata a costruire indecorosi steccati e muri di filo spinato per separare uomini e donne. L’arte con un salto riesce ad abbatterli, donando alle persone la sacrosanta dignità e l’appartenenza ad un comune lignaggio.

Marcello Buttazzo