di Marcello Buttazzo –

Dopo la bocciatura alla Regione Veneto d’una possibile legge sul “fine vita”, Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Consulta, così s’è espresso: “Le leggi regionali invece di risolvere, a volte rischiano di complicare, ma una legge nazionale, come chiede la Corte costituzionale, è assolutamente necessaria”. Purtroppo, in Italia, politicamente prevalgono le discrepanze ideologiche e propagandistiche, le contrapposizioni bipolari fra i difensori della cosiddetta “sacralità della vita umana” e i paladini laici della qualità dell’esistenza. Se si fosse un po’ pragmatici e lungimiranti, sarebbe sufficiente prestare ascolto alle esigenze e alle richieste della società civile. I sondaggi attendibili affermano che la stragrande maggioranza dei cittadini italiani vorrebbe regolamentare in rigorosi quadri normativi il terreno minato del “fine vita”. La situazione, comunque, è delicata, perché è fisiologicamente materia di scontro, per il semplice fatto che sui principi (talvolta assoluti) è molto complicato mediare. Eppure, ponendo dei paletti precisi, nel solco tracciato dal professor Giovanni Maria Flick, si potrebbe cominciare a discutere: “La normativa dovrebbe definire nei dettagli gli obblighi del medico e della struttura sanitaria e le modalità d’esecuzione dell’autosomministrazione da parte del paziente che deve avvenire, appunto, con il controllo medico della struttura sanitaria. Dovrebbe essere, altresì, disciplinato il ricorso all’obiezione di coscienza”. Di certo, con questa maggioranza governativa non si arriverà mai ad alcuna legge sul suicidio medicalmente assistito. Meloni, Salvini e compagnia sono intenti, coi loro proclami strumentalconfessionali, a blandire perfino i gruppi pro-life più oltranzistici. Solo una maggioranza di sinistra liberale, aperta e plurale, potrà formulare una normativa accettabile su questa paradigmatica questione eticamente sensibile.

Marcello Buttazzo