di Marcello Buttazzo –

Per non inaridire, per non sfiorire, dovremmo a volte ammainare le bandiere della realtà effettuale e volare sulle ali del sogno. La realtà può essere troppo ferrigna e stringente per poter essere accettata, benvoluta; può essere travagliosa la realtà, sicché ogni benigno vagheggiamento può salvarci la vita. La realtà può ferire, può imprigionare, può lacerare, ma non dobbiamo rassegnarci, dobbiamo sempre sperare di far fiorire inedite primavere dai nostri più intimi, profondi dolori. La realtà, quando essa è cupa, va traversata con l’animo desto, con l’intento di fare della nostra esistenza non uno stagno di spasimo e di tribolazione, ma una terra di zolle sanguigne, sitibonde d’amore. Per non perdersi, per non morire, a volte quando sopraggiunge la melanconia, occorre guardare oltre il ristretto giardino. Non solo per vedere con gli occhi, ma anche solo per fantasticare, per immaginare. Superare gli angusti confini del tempo imposto dagli eventi ed attraccare in un porto di barche più serene. Oltrepassare d’un salto la noia e l’insensibilità e spezzare queste assurde catene di dolore, che talvolta incatenano i pensieri. E pensare davvero che l’ancestrale tormento, che qualche volta riemerge, vada perfino coccolato, vezzeggiato, e alfine trasformato in qualcosa d’altro. Il tormento va mutato in aurora, per fare di ogni imperdonabile disfatta bagliori di sole. La sera è triste. Ma vorremmo sempre che, per il futuro, non ci fosse stanchezza nella vita interiore, ma solo un soffio di vento che sommuova l’onda e spettini i giorni ancora viventi. Non vorremmo più trambusto nello spirito, ma solo un lampo che elettrizzi l’anima e scuota gli alberi ancora virenti. Vorremmo gridare: mai più sofferenza; ma solo stagioni (quelle che ci restano) a passo d’uomo, a misura di donna, e un fiorire di rose fanciulle nel giardino francescano.

Marcello Buttazzo