di Marcello Buttazzo –

Papa Francesco, ricevendo in udienza i membri della Pontificia Accademia per la vita, ha ribadito ancora una volta che “l’aborto è proprio un omicidio”. La visione cattolica che conferisce, sempre e comunque, sacralità e intangibilità alla vita umana è da rispettare da un punto di vista umano e ontologico. In genere, quando Bergoglio tuona contro la “cultura dello scarto”, non fa altro che denunciare in senso lato una tendenza più generale (non riferibile solo all’aborto) d’una società occidentale opulenta, che non riesce a prendersi cura dei più deboli, dei più fragili. Certo, in una concezione più aperta, più liberale, e meno dogmatica, possiamo sottoporre a discussione l’asserzione apodittica del Santo Padre: “Bambini che non vogliamo accogliere, con questa legge dell’aborto che li manda al mittente e li uccide direttamente”. Per fortuna, la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza è stata ampiamente affrontata, tanti anni fa, prima fra le maglie della società civile, e poi in Parlamento. Grazie al cielo le leggi eticamente sensibili e tutte le altre normative dello Stato laico e liberale non vengono, alla fine, formulate e promulgate dalla Pontificia Accademia per la vita. È pienamente lecito ragione sulla deteriore “cultura dello scarto”. Ma in un Paese libero, si devono rispettare tutti i paradigmi centrali dell’esistente. A cominciare, ovviamente, dall’autodeterminazione e dalla autonomia morale della donna, che vive sul suo corpo dilacerato il dramma dell’aborto. Spegnere una vita in grembo, in germe, non è una passeggiata indolore. Le donne lo sanno, si mobilitano, soffrono, decidono, senza tuttavia pontificare.