di Elio Ria –

Arriverò anch’io fra tre anni ad avere, a meno che il tempo non venga meno, sessantacinque anni, l’età per diventare anziano. Incomincio un po’ a preoccuparmi. Dopo i fatti odierni di Calimera, mi interrogo sull’essenzialità del male, del suo senso. Forse non basta più la morale e ci vorrebbe una ‘ipermorale’? Forse non basta la solitudine morale dell’anziano? È evidente il peso dell’anziano in questa società, che in una sorta di gioco di prestigio egli viene decorato di ‘medaglie di parole’ ma poi nei fatti è abbandonato a  se stesso.

Il coronavirus, un male? Secondo alcuni, quando l’emergenza sarà finita, l’umanità ne uscirà migliore perché consapevole della sua fragilità e della caducità della vita. Intanto, escono fuori tutte le miserie umane, l’incontrollabilità dell’impulso a fare male, l’intolleranza, la cattiva educazione, l’ingiuria, il malaffare.

Torniamo ai fatti: medico picchia un anziano. Già la notizia di per sé stupisce, si stenta a credere, ma com’è possibile? È  triste accorgersi di alcune cose che ci riguardano in questi momenti. Non spetta a me giudicare il medico, mi preme però analizzare brevemente il grave collasso della morale. Diciamolo pure: sino a pochi mesi fa, ci sentivamo tutti spocchiosi;  poi ci siamo ritrovati tutti probabili untori di una malattia epidemica. Impreparati alla diffusione del virus opponiamo la nostra tenacia per non soccombere. E ci stiamo quasi riuscendo. Ma, viene fuori l’aspetto aberrante di questa epidemia: l’abbandono degli anziani. Parcheggiati dalle famiglie in case di cura oppure a se stessi, senza alcun conforto morale e affettivo, derivante dal fatto che a loro ci lega un patto di sangue e di vita. La pubblicità televisiva opportunamente li inserisce in spot che descrivono un ambiente familiare sereno, con tanto affetto nel momento in cui si preparano i biscotti o quant’altro, per far apparire la vita simile a quella del ‘Mulino bianco’? I carabinieri in questi giorni si stanno adoperando per consegnare agli anziani acqua e generi alimentari di prima necessità. I carabinieri! E i familiari dove stanno? Vogliamo avere almeno il coraggio di vergognarci? Forse, facciamo ancora in tempo, a riappropriarci degli anziani: questi signori che hanno dato tante cose alla società, hanno costruito la loro morale e dignità sulla sofferenza, sul dolore e sull’onestà. Sono la nostra vera ricchezza, incommensurabile in ordine a qualsivoglia riferimento si faccia. Bisogna che ci decidiamo a renderci conto del cumulo di giudizi e di comportamenti scorretti, di deformazioni, di bugie, che incombe sulla nostra coscienza. Non aspettiamo che il tempo si riduca inesorabilmente e si estenda nel non luogo del male. Vacilla la lealtà della società, dove l’accomodamento ad ogni forma di potere, di cultura, di religione è ormai una consuetudine. Gli anziani non sono le vittime della memoria, devono essere la forma logica e razionale del tempo che ci consiglia il futuro e il presente. Poniamo le nostre orecchie all’ascolto degli anziani, tenendo presente che all’anzianità siamo quasi tutti predestinati, e avremo anche le nostre responsabilità nel gestirla, in particolar modo del peggio dell’ignoranza, l’ostentazione di essa, quasi il non sapere, il non accorgersi dell’altro, del più debole.

Fatemi diventare un anziano senza gratuità di male. Fatemi ancora credere che l’Italia non sia un paese a pezzi, tutto pretese e senza cognizione dei doveri. Fatemi sperare che il tempo sia per me come un elastico che, teso fra due mani, non mi dia la sensazione delle rughe ma soprattutto dell’indifferenza che tutto riduce alla nullità. 

Fatemi partecipe delle vostre scelte, dei vostri errori, delle vostre voglie di futuro, dei vostri programmi. Non adagiatemi su una panchina del tempo, al riparo della luce che splende nella vostra giovinezza, a zittirmi del presente, ad escludermi del futuro. Fatemi ancora vivere di questa gradita anzianità.

Elio Ria