di Marcello Buttazzo –

La poesia è consolatoria. Essa può alleviare le sofferenze e rendere perfino meno anguste le sbarre ferrigne d’una prigione. In Oklahoma, dal 2014, Ellen Stackable, docente di letteratura inglese, ha fondato un’associazione, Poetic Justice, con l’intento di portare la poesia e un filo di speranza fra le detenute. Da allora, in diverse prigioni femminili, in vari Stati, s’è diffusa questa tendenza culturale e di bellezza antropologica. Ellen, già impegnata nel volontariato accanto ai malati di Aids, ha deciso di mettere in compartecipazione la sua preparazione di letterata. “La maggior parte delle donne ha alle spalle infanzie disastrate, padri e compagni violenti. Vengono da vite di strada”. Una parte delle allieve di Ellen sono ex tossicodipendenti, senza tetto, scappate di casa. Finiscono in prigione per reati non violenti, come possesso di droghe illegali, punito come spaccio. A diverse latitudini, purtroppo, nelle carceri sovraffollate e ipercongestionate, ed anche in Oklahoma, mancano i programmi di recupero. Ellen Stackable, gentile insegnate di scuola superiore, possa essere d’esempio agli istituti di pena di vari Paesi. Fra donne ferite, violate, lei porta sollievo e preconizza un futuro meno incerto. Tramite il medium della poesia si può sostenere l’identità delle persone, indurle allo scandaglio intimo, facendo emergere il bello di ognuna. Con la poesia si possono elaborare e oltrepassare i traumi, si può entrare in condivisione. Scrivere è davvero una terapia salvifica, l’inizio della guarigione. 

Marcello Buttazzo