di Marcello Buttazzo –

La “questione droghe” non è una mansione semplice. A livello, internazionale e, in Italia, da anni e anni, esiste un silente ma fervente dibattito. I fronti di opposto approccio si contrappongono, si fronteggiano fieramente. Da una parte, i proibizionisti, i quali ritengono che con piattaforme coercitive si possano affrontare le varie e spesso gravi emergenze, legate all’uso e allo spaccio degli stupefacenti. Dall’altra parte, gli antiproibizionisti, capeggiati storicamente dai Radicali italiani, sostenuti da uno schieramento trasversale liberale. Fuori da ogni affermazione apodittica e fuori dalle polemiche stantie, possiamo serenamente dire che decenni di politiche iperrestrittive non hanno sortito i buoni esiti sperati. La gente continua a fare uso di sostanze tossiche, le mafie internazionali si arricchiscono dal traffico illegale, le carceri pullulano di consumatori e di piccoli e grandi spacciatori. È indubbio che la cultura del rigore estremo, strettamente securitario, abbia fallito. Tanti anni fa, il referendum promosso da Pannella e Bonino e dai loro lucidi “visionari” compagni di viaggio sulla depenalizzazione delle droghe leggere passò. Ma, come sovente accade in Italia, venne miseramente disatteso dalla classe istituzionale dominante. Per fortuna, ultimamente, in Parlamento, esiste un movimento ampio, capeggiato soprattutto dal sociologo Luigi Manconi e sostenuto dal ministro della Giustizia Orlando, che scorge tutti i benefici che possono derivare da una eventuale legalizzazione delle droghe leggere e magari da una medicalizzazione di quelle pesanti.  In particolare, le storiche campagne della destra sulle droghe dimostrano palesemente un assoluto e deprimente fallimento. Proibire una sostanza più o meno tossica, non equivale evidentemente ad eliminare un più o meno grave problema. La cultura della coartazione a ripetere, ad oltranza, non può far altro che perpetrare storture e danni consistenti. Ai tempi del governo Berlusconi, si pensò con un “lampo di genio” d’approvare la cosiddetta legge Fini- Giovanardi, che eliminava qualsiasi differenza classificatoria fra droghe leggere e droghe pesanti. Le prigioni, già invivibili, cominciarono a pullulare di piccoli spacciatori di erba. La confusione tassonomica ingenerata, in specie, dai pronunciamenti dell’ex sottosegretario Carlo Giovanardi e dal suo meraviglioso gruppo di competenti ha fatto danni consistenti: non si può omogeneizzare tutto e stabilire, con un arbitrio scientifico e classificatorio, che tutte le droghe sono da considerarsi pesanti. La supposta pericolosità di uno spinello fumato in libertà e in gioiosa compagnia non può essere assimilata a una deleteria e mortifera tirata di cocaina, a una distruttiva iniezione di eroina, o un esplosivo intruglio miscuglio di droghe sintetiche e di farmaci. Esistono droghe leggere e droghe pesanti: ognuna ha il suo ordine sistemico, la sua modalità d’azione, i suoi livelli di perniciosità. Non giova alla comprensione del problema la semplificazione e la faciloneria delle destre italiane, che sanno solo mischiare tutte le droghe in un immenso calderone e, solo per obbedire ad una sottocultura securitaria, inventano di sana pianta nuovi reati e nuovi infidi “criminali”. Che senso ha, a rigore di logica e di buon senso, ghettizzare i giovani che fanno uso di canne, punire chi indugia con certi quantitativi di erba, aprendo le porte delle nostre poco ospitali e fatiscenti carceri a questa “maledetta gioventù bruciata”. Purtroppo, quel referendum sulla depenalizzazione delle droghe vinto, tanti anni fa, e portato avanti dai compagni radicali, è stato tradito da una classe politica incompetente e reazionaria. Evidentemente, in passato soprattutto, per le destre di Berlusconi, leghisti e altri è stato più gratificante santificare la vittoria del referendum di Ruini e dei Vescovi  sull’infausta legge 40 sulla fecondazione assistita del 2005, per comprensibili motivi di tornaconto elettorale. Comunque, fuori da ogni polemica ideologica, vorremmo solo guardare un po’ meglio la realtà: non è possibile continuare a trattare una parte della nostra gioventù come se essa fosse costituita da una massa indistinta di sconsiderati adolescenti da porre sotto continuo controllo, sotto serrato “tutoraggio”. Il nostro compito di adulti è quello di far sentire i giovani maturi, liberi, consapevoli di scelte responsabili. Anni fa, La Russa, Gasparri, e altri destrorsi, avevano addirittura la pretesa di sottoporre gli studenti delle scuole, i ragazzi e le ragazze, a test obbligatori anti-droga. Qualche parlamentare di centrodestra o di centrosinistra, in grave crisi esistenziale, che vuole dare prova di esemplari e prodigiose virtù morali, può sempre prestarsi liberamente o in modo coatto allo screening di massa, alle varie analisi del sangue, del capello. La nostra gioventù deve piegarsi a ben altre prove, perché da questa società elitaria dell’esclusione è chiamata quotidianamente a ben più grevi e miseri esami. Meno male che la Corte Costituzionale ha parzialmente smantellato la vecchia legge Fini- Giovanardi sulle droghe. Ma, a livello parlamentare e governativo molti passi devono ancora compiersi.

Marcello Buttazzo