di Alessandra Capone*

Nel 1921 il grande Piero Calamandrei scriveva un libro profeticamente intitolato TROPPI AVVOCATI. Se erano in troppi 90 anni fa, figuriamoci ora. Dai circa 30 mila iscritti nel ’65 si è passati al ragguardevole numero di oltre 233 mila. Un numero enorme se si pensa che in Francia, Paese con una popolazione simile all’Italia, ma con una superficie più ampia, gli avvocati sono meno di 54.000 con un rapporto di 1 ogni 1.300 abitanti, rispetto a regioni, come la Calabria, in cui la media arriva a 1 avvocato ogni 150 abitanti. Ma, l’esponenziale crescita del numero di iscritti assieme alla crisi economica, rappresentano solo alcune delle cause di questa profonda crisi che ha colpito l’avvocatura (e in generale tutte le libere professioni).Il processo di deterioramento del ruolo svolto dagli avvocati nella società civile, infatti, è iniziato nel momento in cui si è cominciato ad applicare in modo del tutto anodino i principi della libera concorrenza: si è voluto assimilare l’attività professionale a quella d’impresa, si è voluto intaccare il sistema ordinistico e abolire i criteri di determinazione del compenso professionale parametrati sulla base delle esigenze sociali. Tutto ciò nonostante la funzione vitale che le professioni svolgono a vantaggio della collettività. Si assiste da anni ad una progressiva riduzione del lavoro e dei redditi che sta contribuendo alla cronicizzazione di tutte quelle situazioni di sfruttamento che già esistevano all’interno della categoria, facendo progressivamente aumentare il divario tra portatori di reddito alto e medio alto, e tutti gli altri, compresi quelli che di reddito non ne hanno alcuno, ed acuendo proprio quel conflitto interreddituale che invece avrebbe dovuto essere risolto. Negli studi legali, infatti, sono occultate gravissime forme di sfruttamento del lavoro subordinato di praticanti e di altri avvocati che di fatto sono dipendenti, ma che invece non sono niente, perchè o non esistono, giacchè lavorano a nero, o perchè la loro partita iva viene strumentalizzata ai fini di una contrattualizzazione precaria, a fronte di Euro 400,00 o 500,00 al mese, di retribuzione.La partita iva è diventata il nuovo strumento della precarizzazione e dello sfruttamento del lavoro, e lo è diventata ovunque. A ciò si aggiungano l’assenza di ammortizzatori sociali, il peso molto spesso iniquo della contribuzione previdenziale, i privilegi previdenziali di pochi a fronte dei sacrifici di tanti, e la pressione fiscale, che gravano soprattutto sui professionisti giovani ed in generale sui portatori di redditi bassi e medio bassi.Questo è ciò che accade nell’Avvocatura. Ma questo, sulla base di un’analisi progressivamente più ampia, è ciò che accade in tutte le altre professioni intellettuali, ed in generale in tutto il comparto del lavoro autonomo, e più in generale ancora in quello delle partite iva. Che fare? Arrendersi? Ritengo di no. Occorre cambiare punto di vista: anziché crogiolarsi su ciò che non va, occorrerebbe unirsi per portare avanti strategie di recupero del prestigio e della redditività della professione. Le istituzioni dovrebbero, innanzitutto, garantire maggiore tutela alla professione forense che, non a caso, figura nella Costituzione italiana e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Si dovrebbe sfruttare la spinta dell’Unione Europea per lo sviluppo di circuiti di risoluzione e composizione delle controversie alternativi al processo statale (arbitrati, mediazioni, negoziazioni) assumendone la gestione, e moltiplicando tanto le risposte per la collettività che le proprie occasioni professionali. Si potrebbe affermare una funzione positiva dell’avvocato come giureconsulto e front-office della domanda di giustizia, e non più solo come difensore di una parte processuale. Si potrebbero incentivare le iniziative volte a garantire la multidisciplinarietà nella trattazione dei singoli casi, secondo collaudati modelli europei, come pure sfruttare risorse europee, un tempo appannaggio di imprese e privati. E per i giovani, si dovrebbe recuperare un modello di educazione e formazione incentrato sul pensiero critico, sullo studio e la sperimentazione di tecniche di argomentazione, del linguaggio e del rigore metodologico del ragionamento e dell’etica professionale che li proietti oltre quella coltre nebbia che in molti casi soffoca l’entusiasmo di perseverare nella professione.

*Avvocato Alessandra CAPONE, Presidente dell’associazione culturale e di formazione Consortium IURIS.