“Non sei più mio padre” di Eva Cantarella
di Paolo Vincenti –
Al mondo greco – romano ha da sempre rivolto l’attenzione Eva Cantarella nella sua lunga carriera di studiosa, e lo fa anche in questo ultimo libro: “Non sei più mio padre. Il conflitto tra genitori e figli nel mondo antico” (Feltrinelli 2015), scritto in uno stile semplice, divulgativo, a vantaggio di un pubblico ampio ed eterogeneo, non composto esclusivamente da specialisti della materia.
Eva Cantarella, che ha insegnato Diritto Romano e Diritto Greco all’Università di Milano, è oggi visiting professor alla New York University Law School. Importantissimi i suoi studi su usi e costumi del mondo greco romano, i suoi saggi sono dei capisaldi sulla materia. Fra i più interessanti, ricordiamo: “Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico”, (Roma 1988), “I supplizi capitali in Grecia e a Roma”, (Milano, 1991), “Passato prossimo. Donne romane da Tacita a Sulpicia”, (Milano 1996), “Pompei. I volti dell’amore”, (Milano 1998), “Itaca. Eroi, donne, potere tra vendetta e diritto” (2002), “L’amore è un dio” (Milano 2007), “Dammi mille baci. Veri uomini e vere donne nell’antica Roma” (Milano, 2009), “L’ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nell’antichità greca e romana”, (Roma, 2010), “Perfino Catone scriveva ricette. I greci, i romani e noi”, (2012).
Al centro del libro, i rapporti padre-figlio, analizzati in una luce esclusivamente storica, come l’autrice non manca di sottolineare nella sua premessa: “gli strumenti per affrontarli in campi diversi appartengono ad altri”, scrive, “ai sociologi, agli antropologi, agli studiosi della famiglia moderna…”. È chiaro però che il libro propone una riflessione ampia, articolata, stimolante, anche per chi non possegga competenze specifiche . Partendo da Omero, con i suoi poemi epici, e da Esiodo con la sua Cosmogonia, per arrivare alla tragedia e alla commedia dell’età classica, la studiosa propone uno specimen di rapporti generazionali, fra leggenda e realtà, fra storia e invenzione narrativa, che si presta ad approfondimenti, che chiama in causa il nostro intimo vissuto, che sollecita dubbi, favorisce domande, suggestioni.
Dopo aver accennato alla grande famiglia allargata di Zeus olimpico, l’autrice si sofferma sui poemi di Omero (“il primo storico della gentilità” lo definisce, citando Vico) e, tratti dall’Iliade e l’Odissea, analizza tre rapporti padre-figlio: Ulisse-Telemaco, Nestore-Pisistrato, Ettore-Astianatte, nell’ambito delle rispettive famiglie a Itaca, a Pilo e a Troia. Nella prima, viene fatta luce sul controverso ruolo di Telemaco che, più che dare prova di grande virilità e coraggio, secondo l’autrice dimostra di non essere all’altezza del padre nei confronti degli itacesi e anche della sua stessa famiglia, di non avere insomma la stoffa del capo, nonostante ormai uscito dalla ephebia, cioè divenuto maturo; e anche nel viaggio alla ricerca del padre fallisce completamente la propria missione. In questo brano, l’autrice approfitta per sfatare un mito (e sia perdonato il gioco di parole), cioè quello della fedeltà di Penelope, dimostrando come molti e forse fondati dubbi nutrissero, sia Telemaco sulla propria paternità, e sia Ulisse sulla fedeltà della moglie. Prendendo spunto poi dalla famiglia di Ettore e Andromaca, una interessante parentesi potrebbe aprirsi sulla disciplina dei figli illegittimi, pratica molto diffusa in Grecia, in quanto quasi tutti gli uomini sposati concepivano anche al di fuori del matrimonio; questi figli (“spuri”, venivano definiti) erano di prassi regolarmente ammessi nella casa coniugale del padre e finanche amorevolmente curati dalla moglie la quale, in determinate circostanze, come dimostra proprio l’esempio di Andromaca, era disposta ad offrire il seno ai pargoli per non amareggiare il marito. Un’altra parentesi si potrebbe aprire sul rapporto uomo – donna nell’antichità greca e romana e sulla condizione di totale sottomissione della donna; ma ciò porterebbe lontano dal tema del libro e sia qui sufficiente rimandare agli altri saggi della Cantarella nei quali la materia è diffusamente trattata. Nella poesia omerica insomma si delinea chiaramente una situazione padre-figlio rigidamente gerarchica, con padri padroni e figli obbedienti. Il padre è un vero leader carismatico nella Grecia antica, il kyrios, cioè il signore, dell’oikos, che è qualcosa di più ampio rispetto al nostro concetto moderno di famiglia, perché si estende ai beni, alle persone e anche al culto religioso; il padre è padrone assoluto, attore unico, dominus pressoché incontrastato del destino dei suoi sottoposti. Egli poteva esporre i figli, cioè darli via appena nati se questi non fossero di gradimento, poteva venderli e riprenderli in casa, poteva scacciarli con l’apokeryxis se si fossero macchiati di gravi colpe. Certo che il suo potere era prevalentemente di carattere economico, ma ciò non fa mutare ai nostri occhi i contorni di un rapporto che poco peso attribuiva all’affettività propria delle relazioni fra consanguinei. Nella seconda parte del libro, l’autrice prende in esame le più note tragedie di Eschilo, Sofocle e Euripide e le commedie di Aristofane.
Se si volesse leggere il libro in una prospettiva diversa da quella enunciata dalla stessa autrice, se esso cioè si proponesse in forma assiomatica, e si volesse sollevare a paradigma universale dei rapporti padre- figlio qualcuna delle figure ivi descritte, forse non si potrebbe far riferimento alla figura di Oreste, che vendica l’assassinio del padre Agamennone, uccidendo la madre Clitennestra e il suo compagno Egisto. Certamente, non sarebbe emblematica la figura di Edipo, nonostante l’utilizzo di questo mito fatto da Freud all’inizio del 900, in chiave psicanalitica (del rimosso desiderio di ciascuno di noi di uccidere il padre e sposare la madre). La famosa interpretazione freudiana infatti fu ben presto smontata dagli studiosi, come Vernant, che hanno subito parlato di un “Edipo senza complesso”, spiegando come il padre della psicanalisi ricavò la sua stramba teoria dalla reazione suscitata nel pubblico dallo spettacolo piuttosto che elaborarla con una corretta e integrale analisi del testo. Non il “complesso di Telemaco” ci verrebbe incontro, nel senso che intende nel suo famoso libro lo psicanalista Massimo Recalcati (citato dalla Cantarella), perché come già detto, si evince dal testo che la figura del giovane figlio di Ulisse sia del tutto evanescente, poco ancorata al vero concetto di capofamiglia, ruolo che è invece saldamente detenuto, pur nella lontananza, da Odisseo. Non sarebbe neppure emblematica la figura di Ippolito, vittima innocente della gelosia del padre Teseo, convinto che il giovane abbia una relazione incestuosa con la matrigna Fedra. Ippolito accetta troppo supinamente la vendetta causata da una male intesa rivalità sessuale, del padre. Forse non ci verrebbe incontro Emone, figlio di Creonte, emblema della dualità contrastiva fra amore per il padre e amore per la propria donna e, di riflesso da questa, cioè Antigone, fra leggi dello stato e leggi divine. Oppure, potrebbero essere rappresentative tutte queste figure insieme. Forse invece, emblematico di questi nostri tempi moderni potrebbe essere il rapporto Admeto-Ferete( e non a caso dai versi della tragedia è tratto il titolo del libro). Nell’ “Alcesti” di Euripide, il vecchio Ferete ha rifiutato di morire al posto di Admeto e per questo si è dovuta sacrificare la nobile sposa dello stesso Admeto. Questi, ai funerali della moglie, rimprovera aspramente al padre il suo mancato sacrificio, e il loro scontro è fortissimo ma anche significativo dell’amore per la vita che ciascuno porta fino all’ ultima ora. L’attaccamento alla vita di Ferete è così tenace che, sebbene ormai carico d’anni, rifiuta di lasciarla a vantaggio del suo erede. Un simile atteggiamento ci riporta a quello che succede oggi nella nostra società, in cui il potere resta ancora saldamente in mano ai vecchi. Se da un lato, per quanto riguarda i genitori delle ultime generazioni (quindi mediamente i quaranta- cinquantenni) si assiste alla “svaporazione del padre”, per dirla con Recalcati, cioè ad uno svuotamento del ruolo di genitore, dall’altro lato, vi sono i genitori della generazione precedente (i settanta- ottantenni) che continuano pervicacemente ad esercitare il proprio ruolo concentrando attribuzioni nelle proprie mani. Il vecchio Ferete oggi non ne vuole sapere di farsi da parte a favore di Admeto, e questo non agevola il ricambio generazionale. Si aggiungano le difficoltà oggettive determinate da una crisi senza precedenti che ha colpito il nostro Paese, le difficoltà economiche e la mancanza di lavoro per le nuove generazioni, perché il quadro sia completo. Nemmeno in prossimità della dipartita, ai più alti livelli della finanza, dell’industria, della politica, dopo una lunghissima carriera, i gerontocrati abbandonano il proprio egoismo e fanno un passo indietro, seguendo l’esempio di San Giovanni Battista: “È necessario che egli cresca e che io diminuisca” (Vangelo Giovanni 3, 25-30). Le connessioni fra passato e presente, che ciascuno può cogliere, sono tante. Appare allora utile riflettere su questo libro di Eva Cantarella, alla quale va la nostra gratitudine di lettori e appassionati del mondo antico.
Paolo Vincenti
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