di Rocco Boccadamo

Stamani, per il disbrigo di una pratica, mi trovavo a Maglie, la signorile cittadina del medio Salento che, fra l’altro, come è noto, ha dato i natali al compianto statista Aldo Moro.
Nel percorrere lentamente in auto una vecchia stradina del centro storico, dalle case basse sovente abbellite da ameni cortili, sono stato d’un tratto colpito da un’insegna di carattere commerciale in grande stampatello, recitante “RESTI”. In corrispondenza, invero, si stagliavano un paio di grigie saracinesche abbassate e, quindi, mute.
Tuttavia, quelle cinque lettere del cartello, in un baleno, andavano prodigiosamente a scatenare nella mia mente un piccolo indicativo ricordo, lontano e, insieme, vivo e guizzante, incentrato su un preciso e determinato episodio risalente, si pensi un po’, alla metà dello scorso secolo.
Correva l’anno 1953, io ero in prima media e, senza volermi esaltare, sul piano del profitto scolastico me la cavavo bene.
Nel paesello natio di Marittima, frequentavo, allora era normale, un’ampia cerchia di amici, coetanei o quasi, e, fra essi, ve n’era uno, D.A., più grandicello rispetto a me, che ammiravo e, anzi, invidiavo per una particolare ragione.
Mosca bianca nel gruppo, egli possedeva una bicicletta, non proprio da adulti, ma nemmeno mini, vale a dire del genere usato da qualche raro bimbetto; insomma, il suo, era un velocipede di dimensioni mediane (a cominciare dalla circonferenza delle ruote), ma, nello stesso tempo,
  in tutto attrezzato e completo come se si trattasse di un’autentica bicicletta, sicché gli consentiva di scorrazzare di gran corsa per le vie della località e, talora, anche, di convincere le ragazzine a sedersi sulla canna.
Per rendere più efficacemente l’idea, mi viene di tirar fuori l’immagine di un letto: come c’è quello a due piazze o matrimoniale, c’è quello a una piazza o lettino ed esiste pure il modello a una piazza e mezzo. Ecco, la bici di D. si potrebbe accostare al concetto dimensionale di “una piazza e mezzo”.
Da parte mia, saltuariamente, convincevo il fortunato amico a cedermela per un giretto, beninteso solo per pochi minuti, e, in quei momenti, andavo letteralmente in sollucchero.
Di riflesso, non perdevo occasione per mettere in croce i miei genitori, affinché comprassero un mezzo a due ruote, magari usato, per me o, quanto meno, da adoperare alternativamente con i miei fratelli.
Loro replicavano che ciò non era fattibile, le misurate risorse finanziarie famigliari non potevano essere destinate a un acquisto della specie e, poi, osservavano che ero ancora piccolo. In fondo, loro cercavano di prendere tempo, io, nondimeno, li martellavo senza sosta.
Concentrato su tale obiettivo, rammentando che, in occasione dell’andata a Maglie per gli esami d’ammissione avevo scorto un grande negozio di vendita, guarda caso, di biciclette, non mi feci scappare lo spunto di una missione, nella cittadina, di mia madre, mio padre, la nonna materna Lucia, lo zio Toto e la sua promessa sposa Maria, per l’acquisto di vestiti, scarpe e altri accessori, in vista, esattamente, del matrimonio dei predetti zii Toto e Maria.
Aggregatomi, dovetti inizialmente sorbirmi i passaggi dai Magazzini Candido e dai vari negozi Puzzovio, Santese e De Giorgi; dopo, invece, convinsi il gruppo ad accompagnarmi in quella stradina citata in apertura, dove era ubicato l’esercizio di vendita di biciclette.
Lì, mi soffermai a girare a lungo, divorando con gli occhi i bellissimi modelli esposti, ma… i prezzi erano letteralmente inabbordabili.
Purtroppo, l’azienda non trattava bici usate e, alla fine, quindi, restai a bocca asciutta.
Mi toccò, di conseguenza, attendere l’estate dell’anno successivo per veder soddisfatto il mio sogno: in casa, arrivò una
seconda bicicletta usata per noi ragazzi, intanto che quella preesistente serviva a mio padre per andare e tonare dall’ufficio.
La prima escursione che compii gongolante ebbe come meta la Marina di Andrano, dove s’inaugurava l’impianto elettrico, al posto delle vecchie lampade a acetilene, nella chiesetta dedicata alla Madonna.
Un amico magliese, mi ha appena riferito che la ditta Resti, che di generazione in generazione andava vendendo biciclette, ha chiuso da circa un decennio; della sua realtà, sopravvive, però, quell’insegna in grande stampatello che ha ispirato, al ragazzo di ieri, la rievocazione della presente, semplice e minuscola antica storia.

Rocco Boccadamo