Sulla poesia di Donato Di Poce
di Marcello Buttazzo –
Quante parole non dette
quante carezze trattenute
quanto dolore taciuto
di negazione in negazione
le parole sono marcite nella mia bocca,
formando ossari di tenerezza.
Ma il silenzio morde…
il silenzio è un ramarro con un fiore in bocca.
Per questo io grido
accarezzami!
Donato Di Poce, poeta, critico d’arte, scrittore di poesismi, fotografo, studioso del Rinascimento italiano, critico letterario, artista poliedrico, innovativo e ironico, dotato di grande umanità e creAttività, ha pubblicato 43 libri (tradotti anche in inglese, arabo, rumeno e spagnolo), 20 ebook e 40 libri Pulcinoelefante. Nel 1998, Edizioni Lietocolle mandò in libreria l’”Opera prima” di Di Poce, dal titolo “Vincolo testuale” con illustrazioni dell’artista giapponese Oki Izumi. Ora (in questo 2023) che la storica Lietocolle ha cessato le sue edizioni, l’Autore ha voluto riproporre il suo testo, pubblicato da Eretica Edizioni. L’Opera, dedicata a Pier Paolo Pasolini e a Roberto Roversi, insuperati maestri di vita e di poesia, contiene due straordinarie note di lettura, i testi critici di Gianni D’Elia e di Roberto Roversi. La scrittura di Di Poce è più che mai contemporanea, attuale, modernissima, perché alligna nel profondo della natura umana. Sicché possiamo dire che i versi di “Vincolo testuale” siano davvero vivi e pulsanti d’umana bellezza. Qualcuno sostiene che la poesia non invecchia mai. In effetti, la poesia vera, come quella di Di Poce, reca nel suo intimo la “disperata vitalità” pasoliniana. Il destino di noi lettori è quello di rispecchiarci nelle pagine dei poeti, di ricercare fra le loro righe calie di speranza, giallo ambra d’attesa, aurore sorgive e coinvolgenti. E la scrittura di Di Poce è compartecipativa e lucente. Nella sua eleganza espositiva, che apre squarci lirici di altissimo tenore, questa scrittura è una trama di quotidiano procedere, che sa alluzzare lo stupore, l’incanto. Un libro di versi che ci fa scendere nel fondo del fondo, con un fare filosofico e veementemente poetico. Nella sua nota di lettura Roberto Roversi evoca “un’inquietudine riflessiva, che spinge a investigare, interrogarsi, rispondere con fatica. E sono interrogazioni diversificate (non ripetizioni) quelle che si dispongono a perseverare nell’approfondimento, in uno scavo dentro le viscere dei problemi”. La poesia autentica fa agognare nobili imprese e ci insegna la vita. La vita può essere il ricordo d’un silenzio, mentre voli d’inchiostro ci attraversano il respiro. Il mestiere di scrivere non è una mansione agevole, non è indolore, non è un viaggio in prima classe con tutte le luci accese. Scrivere è sangue che sgorga. “Scrivere forse/È raccogliere la caligine dei versi/Nei solchi bruciati della storia/”. La cifra stilistica della poesia di Di Poce è la soavità meditativa, la leggerezza, che emerge da una assoluta e intricata profondità del pensiero. Il poeta con piana delicatezza canta delle mani che hanno costruito una zattera con uno straccetto rosso per vessillo. Canta di gocce di rugiada che brillano sui cardi senza il minimo scandalo. Che finezza in questi versi: “È tempo ormai/di rinnegare/ipotesi di approdo/la mia ancora è al vento//il mio cuore è un canneto di lucciole/”. O ancora: “Piangendo/guardo il mondo/e le lacrime sono parole/che cadono sopra le cose/ con il candore dei baci/per non sporcare/per non graffiare/”. La veste lirica dei versi è rafforzata da una densa matrice di pensamenti. Secondo Roberto Roversi, “i testi di Di Poce raccolgono, dopo un periplo di lavoro prolungato con severa costanza, trascrizioni di inquietudini mentali, di riflessioni rabbrividenti ma vitali sul contrasto quotidiano con le cose, la gente, le rovinose vicende del mondo”. Ciò che funge da collante fra le varie vicissitudini umane è la parola vibratile. E la parola del poeta, a volte sconfortata, a volte coadiuvata da una luce fioca o forte, è il tessuto connettivo che si dirama e dà sostanza all’esistente.
Le poesie sono pietre posate sull’anima
aspettano solo di essere scolpite
a volte ci lasciano dei buchi dentro.
Ora sento, c’è la parola
non si è ancora fatta lingua
è il nostro incompiuto
Amore che ci finisce.
Donato Di Poce è poeta dell’amicizia. Versi commoventi in “Vincolo testuale” sono redatti per Roberto Roversi, per Franco Loi, per Massimo Raffaeli, per Remo Paganelli, per l’immortale Vittorio Sereni. Tutta l’attività poetica di Di Poce è incentrata sulla ricerca d’un nuovo umanesimo. Sulle macerie dell’essere e dell’esistere come rabdomanti dovremmo cercare di scavare radici di vita e mendicare un poco d’incanto. “Senza l’incanto/non possiamo restare/non possiamo più partire/”. I versi di Di Poce sono dichiarazioni d’amore, perché c’è un filo rosso di fervente umanità che abbraccia le parole e gli esseri umani. A volte, l’amore si fa più specifico, diventando fiore immortale, labbra germoglianti misteri, labbra che lasciano brillare parole come spade. La ricerca linguistica di Di Poce si estrinseca dolcemente nella sua ingegnosa poesia, ma si srotola oltre la pagina, si compie nella realtà effettuale di ogni giorno, laddove il destino di noi umani è quello di scandagliare lungo gli argini dell’esistenza. Il nostro destino è di cercare silenzi, come due gabbiani che lavano nell’acqua le ali sporche di dolore.
Caro Angelo,
non piangere
se ti costringono a chiudere gli occhi
se hanno fatto di te un represso,
un Rimbaud, un bambino.
Lascia che i tuoi versi
scorrano silenziosi verso il mare
che il vento porti il tuo segreto.
Il tuo viso è una noce di cocco
dove ho succhiato, bevuto, respirato.
Ci hanno detto di non conoscere Saba
e lui, il piccolo Berto
ci calpestava il cuore.
Marcello Buttazzo
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