di Marcello Buttazzo –

I primi rossori dell’alba orlano il cielo di giugno. San Vito, il Santo Patrono, a Lequile, dalla secolare colonna richiama voli leggiadri di rondini ribelli e lontani canti d’amore. La piazza è già ubriaca di sole, popolata di lavoratori indocili: nei loro occhi accesi brillano desideri inarrivabili in dolci matrone dai seni prorompenti. Il paese è un fruscio di parole, un proscenio placido rilucente di colori, un privilegio da vivere. E noi passeggeri del tempo stazioniamo ai margini d’una assenza, abbarbicati al sogno, alla speranza. Forse, è il caso di dimenticare nei giardini dell’oblio gli arboscelli rancorosi e avvizziti dell’antico ricordo. Usciamo per strada, soli e vivi. Il passato ormai è un virgulto di marmo, passioni imprigionate, un lieve singulto sparpagliato di vento. Sta per esplodere un giugno maturo. E la giovane estate che verrà avrà i giorni di perla e il sorriso d’un fanciullo. Cascate di vento, colori arcobaleno, ciliegi maestosi in campi stremati. Odore di basilico e rosmarino, di erbe selvatiche. E il vento che fa il suo giro e ogni cosa ritorna. Tornerà la notte e il suo fruscio di stelle silenziose e assorte. Tornerà la luna e un viso di ragazza a imbrigliare i solchi della memoria. Tornerà l’alba con i suoi fulgori. Tu arrosserai il cielo di giugno e di bellezza avvamperai le rilucenti aurore. Torneranno i giardini di magnolie, il sole a picco sul meriggio. Sulle spume dorate del mare giovani donne spanderanno semi di grano e boccioli d’incanto. I fanciulli s’affretteranno a disfare castelli di sabbia, giocando con le loro improponibili chimere. Fra le creste delle onde mattutine saetteranno cavallucci marini, e amori di ritorno. Sull’arenile annuseremo i colori del giorno e l’odore infinito delle tramontane. E il pensiero s’insinuerà come un gioco nelle pieghe dell’anima riarsa. Un amore sfarfallerà fra voli di usignoli desiderati. Gocce di sole nel cielo di rondini striato. Aquiloni amaranto, arabeschi di sogni fra nubi d’incanto. Zolfo, alluminio, calie afferrate, canestri di parole, le sospirate serate. Mulinelli di melanconie nei crepuscoli aranciati. E la notte, la magica notte, pioggia a dirotto d’infinite confidenze, e fra le lenzuola una minuscola gemma d’un indaco maliardo. Fuochi d’artificio, scampanio festoso nell’aurora violetta, e brezza leggera figlia della giovane estate. La giovane estate, che verrà. La notte di giugno rimane l’irrinunciabile rifugio di anime inquiete, gemma cobalto, melodia di stelle. E, intanto, lei ogni notte continuava a ordire inganni, a trastullarsi con giochi da niente, con i suoi artifici di piccola pazza d’amore. I galli del mattino cantano ancora le tristi nenie del disinganno. Lei è ancora oggi la risacca del mare, un faro di bianca illusione, la fresca tramontana nel giorno irrespirabile. Lei era un sentiero di luna da leccare con lingua di fuoco. Giugno cammina e corre. E il mio paese è terra. Terra che aspetta. Lequile, zolle rosse dell’anima. Terra assolata di complici ulivi. Terra aggrovigliata di fronde di limone, acini d’uva, di rosse melagrane, corse sfrenate, il pino, l’eucalipto. Lequile è una coppa di piacere, di dolore, una fanciulla vestita di perle di luna, una chiazza infinita di cielo. Lequile, mille colori, infanzia rosa, stagioni perse, angeli di passaggio. Lequile ha conosciuto i suoi seni di pesca, le sue gambe di giunco, il suo imene d’oro, dono d’un Dio lussureggiante.
                                              Marcello Buttazzo