di Marcello Buttazzo –

Sabato 15 aprile, presso la Chiesa Sant’Antonio a Fulgenzio, s’è svolto il recital “Apocalissi” per voce recitante, violino, clarinetto, violoncello e organo. Testo e drammaturgia e voce di Giuseppe Semeraro, musica di Giuseppe Gigante. Al violino, Annalisa Monteduro; al clarinetto, Michele Nicolaci; al violoncello, Rosa Andriulli; all’organo, Andrea Rizzato. La voce di Semeraro s’è levata coinvolgente e calda ad appassionare un pubblico entusiasta. Il recital “Apocalissi” ha come testo portante il libro “Apocalisse apocrifa”, pubblicato da Les Flaneurs Edizioni (aprile 2023), nella Collana curata da Alessandro Cannavale. Giuseppe Semeraro, poeta, attore, regista, è fondatore della compagnia teatrale Principio Attivo Teatro. Il testo dell’”Apocalisse apocrifa” ha debuttato sotto forma di spettacolo nella Cattedrale di Santa Caterina a Galatina con le musiche originali del compositore Giuseppe Gigante. “Apocalisse apocrifa” di Giuseppe Semeraro è un esperimento letterario originale, perché non apprezziamo soltanto il testo narrativo, ma anche il suono, la voce recitata quasi cantata di Giuseppe, che in uno slancio di grazia ci dona una preghiera laica e altamente spirituale. L’ordinarietà di questa società postcapitalistica e iperglobalizzata è tangibile in tutte le sue storture, dalla prepotente mano antropica dell’Homo sapiens sapiens alla volgarità, ferinità dei conflitti armati e delle varie guerre. Ma l’apocalisse di Giuseppe vibra nell’intimo, nel connettivo, d’una profonda speranza, d’una luce fiorente, d’una attesa di vita nuova, d’un bene che sa pervadere gli umani. L’opera si divide in 7 sigilli e un epilogo. In coda, ci sono anche due canti davvero avvincenti: “Altare materno” e “Canto notturno di un migrante dell’Asia”. La prefazione è d’un rinomato poeta pugliese, Luca Crastolla. Che così apre la sua nota ad “Apocalisse apocrifa”: “Secondo il biblista francese Paul Beauchamp tutta “la letteratura apocalittica nasce per aiutare a sopportare l’insopportabile”. Forse tutta la poesia, l’arte tutta, in tal senso può essere definita apocalittica”. La poesia, in particolare, oltre alla mansione d’impeto civile, ha anche una funzione talvolta consolatoria. Non sterilmente consolatoria, ma sempre dedita alla riflessione, alla meditazione, magari con uno scopo recondito o perfino manifesto di aprire squarci nel buio. Pur ispirandosi al sacro, Giuseppe Semeraro percorre un sentiero laico e spirituale. Giustamente Crastolla scrive: “L’autore non è un profeta: è un artista, e da artista ci offre la sua apocalisse affrettandosi a definirla apocrifa con un gesto di autovalutazione”. Il pensiero dominante di Semeraro è umano, è l’individuo che si muove in un habitat spesso catastrofico.  Epperò, non viene mai meno la speranza (davvero cristiana) dell’autore, che preconizza sempre, di là del deserto di sabbia, l’avvento d’una nuova era di virgulti fioriti. Nel prologo, si respira intenso il pathos poetico, la denuncia verso una società iperconsumistica, società dell’usa e getta, che crea fittiziamente paura per il diverso, per il forestiero.

Ho avuto fame, ho avuto sete
sono stato forestiero
nudo, malato, carcerato
mutilato, impiccato
bruciato, esiliato
sono stato demone, angelo
sono stato Cristo,
messo in croce, dimenticato
sono stato uomo fra gli uomini,
carnefice e santo
boia e torturatore
poeta e assassino
schiavo, incatenato…

Nel I Sigillo – Babilonia, ci appare la grande Babilonia che si lecca le ferite. I suoi giardini muoiono d’inedia e urlano le sue prigioni, bruciano le sue torri, crollano i suoi palazzi, seccano i suoi prati, scappano via i suoi vermi. Una Babilonia svenuta nella sua lussuria. Ma, come dicevamo, nel tramestio della sciagura, alfine prevale il bene. E Semeraro afferma che, caduta Babilonia, è tempo che la terra riposi, che l’uomo non si chiuda dentro una patria, che il contadino non mangi più spine. “È tempo che ogni cosa trabocchi di bene”. Lo ha rilevato opportunamente Luca Crastolla: “L’apocalisse di Semeraro è un testo che in più parti invoca una dimensione antropologica non distinguendola da quella ambientalistica”. Ed è così! L’uomo moderno è inscritto integralmente in una Natura, spesso violata e alterata per soddisfare non propriamente necessità strettamente vitali. Semeraro nel suo canto sa coinvolgere francescanamente l’umano e la Natura. Anche nel II Sigillo – Le anime, troviamo una presa di posizione netta contro l’antropocentrismo dominante: “Vidi il deserto prendere a morsi la Terra/vidi boschi interi diventare cimiteri/ vidi gli alberi diventare croci nere./”Ma sul finale, del II Sigillo, come al solito erompe la vita. “Vidi la vita ricomporsi al suo inizio/nel cielo vidi una goccia di bene./”. E così scorre, in un’altalena di visioni, il III Sigillo – La Morte, in un incedere di prostrazione e speranza. Scorrono il IV Sigillo – Mare, il V Sigillo – Soldati, il VI Sigillo – La Bestia, il VII Sigillo – Dio. L’epilogo è d’una tenerezza assoluta, perché “Vincerà la fame sfacciata di un bambino/vincerà il seme d’un desiderio/vincerà il volto che carezza una mano/vincerà l’amore/ quando non ci sarà distanza/tra gli occhi e le parole/vincerà il giuramento di pace…/”. Lo scritto di Semeraro, come abbiamo già detto, oltre ad “Apocalisse apocrifa”, comprende “Altare materno” e “Canto notturno d’un migrante dell’Asia”. “Altare materno” è un canto di vertiginosa bellezza, un inno alla madre fisica, che per forza e sentimento rievoca la “madre lodoletta” di Pier Paolo Pasolini. Altresì, si tratta d’una ode redatta per la madre Terra. Per amore di questa madre, l’autore è pronto a fabbricare un altare povero di petali e di spine. Una madre santa dei grembiuli, dei fiori segreti d’inverno. Per amore della madre, il poeta è ben disposto a farsi spina che protegge il germoglio, a lasciare una rosa all’altare dell’infanzia, imparare dal sorriso che sboccia. Nel “Canto notturno d’un migrante dell’Asia” sono evidenti i rimandi leopardiani. La natura di Semeraro, però, non è matrigna: la sua è una madre benigna, sorgente e fonte di bene, dove abbeverarsi d’acqua fresca, madreperla, madresanta, madreterra, madregloriosa, di natura luminosa. Protagonisti del “Canto notturno” è l’umanità errabonda, che vagola come la luna sui vari selciati, che fugge, che scappa da conflitti, da persecuzioni etniche, da nera miseria. Un’umanità ferita che traversa deserti assolati dal vento bollente, con labbra spaccate. “Apocalisse apocrifa” di Giuseppe Semeraro è un testo toccante ed emozionante, che mette a nudo i nostri bisogni, li fa diventare essenziali. A misura di donna e di uomo. Perché del piccolo, del minuscolo abbiamo bisogno.

Marcello Buttazzo