di Marcello Buttazzo –

Giovedì 19 agosto 2021, a Lecce, sulla terrazza del bar Astoria, s’è svolta la presentazione del libro di poesie “d’autunno le parole” di Marirò Savoia. L’autrice leccese è un’insegnante di lettere, ora in pensione. Una presentazione partecipata, sotto il lampadario della luna benevola, fra gente attenta a cogliere piccole sfumature. La poesia è pazienza, certo. Essa impone al facitore di versi un lavoro alacre, certosino, meticoloso, sulla parola, che va scandagliata in ogni sillaba. La poesia è musica, perché nell’abbraccio dei versi si deve appalesare un ritmo suadente. Un canto. Ma la poesia è anche condivisione. Essa non può essere mai vano, sterile esercizio solipsistico. Alla presentazione del libro di Marirò Savoia, ho avuto la piacevole sensazione di poter ribadire a me stesso (per l’ennesima volta) che la poesia debba essere, per l’innanzi, possibilità di spezzare, tutti assieme, il pane cereale dell’amicizia e della compagnia.

La poesia è anche compartecipazione, occasione per ritrovarsi in una serafica sera, a veder danzare le stelle; sulla terrazza del bar Astoria, abbiamo assistito ad un ballo leggero e semplice di parole lineari, delicate, di sentimenti rosso sangue, di pensamenti fraterni. Marirò ha dialogato con Maria Grazia Toscano. E, in specie, ha avuto come interlocutore d’eccezione il compagno Maurizio Mazzotta, regista, psicologo, psicoterapeuta, psicopedagogista, un uomo avvezzo nel suo percorso umano a dialogare, a interrogarsi sulle cose della vita, a far vibrare le parole.

Nella capacità di comunicare c’è il segreto, la malia agognata, che affranca l’Homo sapiens sapiens e lo allontana dalla morte. Nella capacità di entrare in contatto con l’altro, di gettare ponti conoscitivi, di saper indagare il proprio sé, di saper edificare cattedrali di bellezza umana, risiede l’attesa perenne delle persone, la loro voglia di sentirsi ancora vivi. E tutto ciò Maurizio e Marirò lo sanno fare con maestria, con sapienza, soprattutto con estrema umiltà. La modestia, che è una dote benemerita in questa società, che talvolta slabbra gli Ego e li rende abnormi.
Mi ha colpito immediatamente un pensiero della professoressa Savoia: “È un sogno per me essere riuscita a scrivere, nell’autunno della mia vita, la mia prima silloge poetica”.  Mi ha emozionato davvero l’umiltà dell’autrice, che, di fatto, scrive da una vita intera. Ha pubblicato opere per Giunti, articoli di contenuto pedagogico su riviste specializzate. Ha scritto e pubblicato racconti per ragazzi. Ha curato la redazione su “Il Quotidiano di Lecce”, assieme al compagno Maurizio, dello “Spazio alla Creatività”, con articoli relativi. Una donna bella (in ogni senso), che da giovane ha praticato la danza, il tango. E sa muovere con armonia le parole, le desta, le rende vivide.

Sto leggendo la raccolta “d’autunno le parole” (Edizioni Milella, ottobre 2020). Versi d’amore, d’impeto panico, di scandaglio dell’interiorità. Versi esistenziali, perché in essi la gioia, il dolore, l’ebbrezza, sono tutti invitati al banchetto festivo della poesia. Le figurazioni naturali sono pregnanti e significative. Foglie di rame d’autunno, profumo di pini, meriggi d’agosto, rondini in volo verso l’Africa che vanno e poi ritornano, oleandri e gelsomini, luna promettente che illumina il volto dell’amato, sere di giugno nel giardino dei gerani, frinire di grilli. In apertura Marirò scrive: “Intendo la poesia come il luogo dove le emozioni e i sentimenti si illuminano e rendono consapevole il pensiero. Ciò mi permette di capire chi sono, chi sono gli altri e quali sono le infinite strade da percorrere”. Nella serata di giovedì 19 agosto, abbiamo gradito la lettura di versi di Marirò da parte del compagno Maurizio Mazzotta. Un professionista di valore che, in alcune cadenze e in certi toni della voce, mi ha fatto rammemorare il professore Arrigo Colombo. E le sue letture memorabili, musicali come il suono dei centomila violini. Un altro aspetto antropologico rilevante, di cui ha parlato Marirò, e che ho trovato anche nei versi, è il concetto di perdono. “Perdonarmi diventa necessario”, canta Marirò. In effetti, la pratica analitica, sovente dolorosa, del perdono va praticata senza alcun indugio. Preminentemente, dobbiamo imparare a perdonare noi stessi, le nostre manchevolezze, la nostra rabbia talvolta distruttiva, se vogliamo imparare a perdonare gli altri. A perdonarci tutta la vita. Grazie Marirò per le poesie che ci doni…

Casina La Torre

Le spine hanno ferito
l’incanto della casa.
Ossessiva l’upupa si afferma
e in alto volteggia il greppio.
L’amico contadino si è fatto gelo
più non si lamenta del raccolto.
Né sfidiamo il mondo come un tempo
nei meriggi assolati
quando avvolti di sola luce
ci amavamo tra le vigne.
Ancorati a questo luogo
che non lasciamo andare
forti del nostro amore
tenaci restiamo.
È il tempo delle visite
al cimitero dei cani sotto il fico.
È il tempo del ricordo
del profumo delle rose.