Sara Loffredi scrive d’amore
di Antonio Stanca –
Fronte di scavo è il primo romanzo che la scrittrice Sara Loffredi ha pubblicato presso Einaudi. Lo ha fatto nel 2020 ed ora il Gruppo Editoriale GEDI lo ha ristampato. La Loffredi è nata a Milano nel 1978, ha esordito con La felicità sta in un altro posto del 2014 e altro ha scritto in seguito da sola o in collaborazione.
Fronte di scavo è un romanzo vero e inventato. Si riferisce al traforo del Monte Bianco avvenuto tra gli ultimi anni ’50 e i primi ’60. Fu progettato per creare una galleria, una strada, una via di comunicazione piuttosto ampia e rapida tra l’Italia e la Francia.
Il padre della scrittrice aveva preso parte a questa imponente operazione, vi aveva lavorato e lei molto esperta, molto sicura si mostra, nell’opera, riguardo a come procedevano i lavori, agli operai che richiedevano, ai mezzi che servivano, a tutto quanto succedeva intorno a quel “fronte di scavo” che sarebbe l’enorme parete rocciosa sotterranea intorno alla quale si muovevano uomini e macchine per perforarla, tagliarla, demolirla e avanzare, anche se lentamente, nella formazione della galleria sotto il Monte Bianco. Così facevano, nella parte opposta della montagna, i francesi.
Bene riesce la scrittrice a rendere questo movimento inarrestabile che avviene intorno al “fronte di scavo”, che richiede tre turni di lavoro, tanti tipi di lavoratori, tanti mezzi, tanti posti dove alloggiare, vivere. Un universo a sé sembra questa comunità che conta più di quattrocento persone e che si muove tra l’interno e l’esterno della galleria. Qui arriverà Ettore, un ingegnere incaricato di collaborare, sovrintendere alla realizzazione di un progetto così impegnativo. Qui conoscerà i direttori, i capi e insieme procederanno nello studio, nella soluzione dei tanti problemi che generalmente comporta il traforo di una montagna. La perdita di acqua che si verifica nella parte italiana, le continue fuoriuscite dalle pareti del tunnel saranno uno di questi problemi, il più grave, quello che rallenterà i lavori. Ci saranno poi le disgrazie provocate da valanghe. E tanto altro succederà, alcuni operai perderanno la vita. Ma succederà pure che Ettore s’incontri con Nina, una delle pochissime donne impegnate nel cantiere e addetta alla mensa. Aveva con sé un bambino e veniva da Milano dove si era separata dal marito. Non era molto bella ma molto attraente perché silenziosa, riservata, schiva. Ettore s’innamorerà, anche lei, si metteranno insieme. Durerà qualche tempo ma poi Nina tornerà a Milano, dove il figlio verrà portato dal padre. Non voleva lasciarlo solo con lui ma non voleva nemmeno stare col marito. Non sapeva bene cosa avrebbe fatto e intanto voleva stare vicina al figlio.
Anche Ettore veniva da una triste esperienza, anche lui aveva avuto problemi in famiglia e da questa se n’era andato.
Due anime in pena, Ettore e Nina, continuamente assalite da brutti ricordi, perseguitate da cattivi pensieri, continuamente in fuga da sé stesse, si erano incontrate e avevano creduto di recuperare, colmare quanto era loro mancato, di risolvere i problemi, di mettere fine alle sofferenze.
Abile è la Loffredi nel rappresentare due casi umani così complicati, nel combinare una storia privata con una pubblica, nel far procedere insieme la fantasia e la realtà.
Due vite difficili riesce a far stare tra tante altre, a svolgerle, rappresentarle e intensi, suggestivi sono gli effetti che la scrittrice raggiunge quando mostra i due innamorati convinti di aver raggiunto una nuova condizione, di aver ottenuto quella felicità tanto sperata. Drammatica diventerà, pertanto, la sua scrittura quando dovrà dire della fine del loro sogno.
Una storia d’amore accesa, appassionata è quella di Ettore e Nina, una storia che li porta lontano da tutti e da tutto ma che non riesce a farli rimanere per sempre.
Un tema da alta letteratura, un motivo da grandi scrittori e il linguaggio chiaro, sicuro della Loffredi lo lascia presagire fin dall’inizio. Scrivere sembra sia stato sempre il suo modo di fare, di essere, un aspetto naturale della sua personalità.
Antonio Stanca
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