di Marcello Buttazzo –

È appena uscita per i Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno, “Nelle vene del mondo”, un’antologia poetica di Donato Di Poce, Poeta, Critico d’Arte, Scrittore di Poesismi, Fotografo, Studioso del Rinascimento, Artista poliedrico, innovativo e ironico, dotato di grande sensibilità e umanità, e CreAttività. Ha al suo attivo 43 libri pubblicati (tradotti anche in Inglese, Arabo, Rumeno, Esperanto e Spagnolo), 20 ebook e 40 libri d’arte Pulcinoelefante. Dal 1988 è teorico, promotore e collezionista di Taccuini d’Artista. Ha realizzato L’Archivio Internazionale di Taccuino d’Artista e Poetry Box di Donato Di Poce, progetto espositivo itinerante. L’antologia “Nelle vene del mondo” raccoglie venti anni di esperienze, di vissuti, di scritture poetiche. Di Poce è un autore molto ancorato alla realtà, allo scorrere del tempo, al procedere dei giorni. È un uomo provvisto d’un manifesto amore per il prossimo. Nei suoi ringraziamenti in chiusura del libro, ci sono le parole di riconoscenza per il suo insegnante di Lettere Luciano Biancatelli, che gli fece amare Leopardi e la letteratura. E parole speciali per amici Poeti e Maestri, come Roberto Roversi e Gianni D’Elia, che per primi credettero nelle sue capacità, quando Donato era giovanissimo. Non dimentica, il poeta, di ringraziare i suoi tanti editori della sua infinita produzione letteraria, gli amici, i poeti, i critici, i lettori.

“Più bella della poesia è stata la mia vita”, cantava Alda Merini. Questo assunto fiorente vale anche per Donato Di Poce, che è un artista che sa traversare con animo desto le varie evenienze quotidiane. È vero, prima viene la vita, con il suo fluire a volte ordinato, altre volte caotico. Poi sopraggiunge, in un secondo momento, se è il caso, la scrittura. E la poetica di Donato Di Poce è davvero unica, originale e necessaria. Elegante nel suo lessico lineare e immaginifico. Trasognati come un sogno ad occhi aperti i suoi versi, sono lampi velocissimi, che incidono la pagina, la carezzano per nostro diletto. Versi che cantano la vita. Con ciò non voglio dire che Di Poce sia un poeta strettamente consolatorio. Tutt’altro. Lui ha la contezza che il mondo sia “un cumulo di macerie”. Epperò, qui c’è un trasalimento, un sussulto. Qui “palpita ancora l’anima del mondo”. Mi verrebbe quasi da dire che Di Poce conosce e vede pienamente e integralmente le rovine dell’umanità; ma le lacrime le fa sgorgare e le sa consolare. La sua poetica segue vari registri. Poesia d’amore, poesia civile, poesia totale. Lui sa usare la tecnica della denuncia, l’ironia benedetta, l’anelito a rappresentare l’esistente con schiettezza, con verità, con onestà.

Nell’introduzione Hiram Barrios scrive: “La poesia di questa antologia è anzitutto una ricerca vitale, perché Di Poce attinge dalla sua vita per raccontare attraverso le parole la salvezza che l’arte porta dentro e la necessità di sognare per concepire un barlume di speranza”. Nelle vene del mondo, scorre un fiume carsico, batte e ribatte un cuore vibratile al tamtam di tuono. Nelle vene del mondo, c’è il respiro dell’Autore, la sua visione ad ampio spettro d’una poesia feconda, portatrice di embrioni di venustà, di calie preziose, di gemme e lapislazzuli. Certo, la poesia evoca talvolta drammi e sconvolgimenti, ma il poeta non rinuncia a compiere un percorso, qualche volta con i piedi piagati, verso una possibile salvezza. Donato Di Poce è un poeta che coltiva giornonotte nel suo virente giardino la pianta dell’incanto, che è visibile nella limpidezza adamantina dei suoi versi. Nel libro “L’origine du monde”, che fa parte dell’antologia “Nelle vene del mondo”, esplode un maturo e alluzzante erotismo. Il poeta vorrebbe leggere fra le cosce dell’amata la vita, sfilarle le calze piano piano, esplorala senza confini, e poi volarle dentro come una rondine nel cielo. Il poeta fra petali di rosa nera cerca il segreto dei baci dell’amata. “Vorrei leggerti il destino tra i seni/ E camminare tra i sentieri del tuo pube/Come in cerca di fragole/E dilatare l’attesa di un bacio/Tra petali di lingua pratolina/”. Fra i versi di Di Poce s’incontra felicemente la profondità e la soavità dell’amore vero: “Piangendo/guardo il mondo/e le lacrime sono parole/che cadono sopra le cose/con il candore dei baci/per non sporcare/per non graffiare/”. “Lungo la East Side Gallery”, dedicata a Conrad Schumann e a Chris Gueffroy, compare tutta la bruttezza della cortina di ferro, costruita di notte, spaccando in due una città, incredula e attonita. Case, amori, scuole, e lavori divisi per sempre, spezzati in due dalla striscia della morte. E così, a varie latitudini, dopo tanti anni, rimane l’incubo di replicanti ciechi a Gaza e a Gerusalemme, e sogni cancellati dal tempo. Il poeta con sdegno e con sgomento tratteggia i pifferai della libertà, che suonano musiche stonate, che fabbricano la pace armata e ogni giorno uccidono la vita.

Donato Di Poce sa mutuare e modulare il dolore per far fiorire l’esistenza. Lui riesce perfino a perdersi nel dolore estremo e a ritrovarsi nel suo respiro in mezzo al vento della storia. L’amore distillato in gocce di splendore vive nei versi di Di Poce. “Solo i Poeti sanno rivivere/Un amore mai vissuto/E girarti attorno nel vuoto/Come una rondine impazzita/”. Alcune poesie sono dedicate a persone molto care. Come, ad esempio, “Crateri di luce”, scritta per il figlio Matteo. Fa tenerezza il poeta che in silenzio accartocciava le parole della notte, mentre guardava dormire un bambino con in tasca il segreto delle stelle. C’è una poesia per Carmelo Bene, nella consapevolezza assoluta che bisogna cercare un altro dire, oltre le rovine del tempo: “Dove c’è un tempo nuovo da vivere/Una zolla prediletta di futuro/Da seminare e coltivare con cura./” Un lampo di verità è redatto per P.P. Pasolini e per E. Mattei: “E come voi restammo attoniti/Di fronte alla volgarità del potere/Doppio e Omertoso, vile e oscuro/E ossessionato dal petrolio./”I lampi di verità sono quelli degli uomini assennati che combattono l’orgia dei poteri, l’orgia delle multinazionali, l’orgia delle mistificazioni, l’orgia dei silenzi e la mattanza di uomini, cose e idee. Gli orrori della storia sono narrati da Di Poce con precisione.

Gli affetti sono intinti nell’inchiostro della compartecipazione. Come non ricordare “Lettera per Alda Merini”, la meravigliosa poetessa dei Navigli, amica di Di Poce: “Cara Alda,/ Te ne sei andata/Così come hai vissuto/Volando come un’ape innamorata/Una mamma impazzita dal dolore/Che impollinava di poesia il mondo./” Versi densi sono scritti anche per Albert Einstein, per Ulisse Casartelli, per Catherine Porta. “Nelle vene del mondo”, c’è un omaggio anche a Mario Benedetti, che sulle carte silenziose nascondeva il rumore del mondo. E un pensiero vivido d’amore per il poeta ed editore Alberto Casiraghi e la sua bellissima casa, dove Di Poce trovò tre principesse slave, sette balene, una giraffa, e poi la stanza delle fragole, le poesie appese alle pareti, le nuvole e le api più belle del mondo. Versi raffinati per Maria Mesch, Per Silvia Cibaldi, per Oki Izumi, per Mimmo Sormani, per Luigi Mariani. Di Poce sa essere leggiadro e, al contempo, pungente. Nell’antologia “Nelle vene del mondo”, vengono stigmatizzati, a un certo punto, i cosiddetti “poetocrati”, che sono falsi poeti, falsi critici, falsi editori, maestri del camufflage, del travestitismo e del mimetismo. Nella parte finale dell’antologia ci sono i versi chiarissimi redatti per Tiziana Cera Rosco: “Il fiore più bello sei tu/Che nasci dalle radici divelte dell’abisso/”. Donato Di Poce è un poeta poliedrico e multipolare, un giorno è Curdo, un altro Albanese, un altro ancora è un treno colpito per errore da un missile Americano. La Prosa della vita gli confonde le idee: “Io lo so! Non sono un Poeta/Ma la poesia mi dorme accanto/Con in tasca una scatola di colori./Io non so cos’è la Poesia/ Ma la vita credetemi/ È una questione di stile./”

Vi proponiamo due poesie dall’antologia “Nelle vene del mondo”:

1)

Le poesie sono pietre posate sull’anima

aspettano solo di essere scolpite

A volte ci lasciano dei buchi dentro.

Ora sento, c’è la parola

non si è ancora fatta lingua

è il nostro incompiuto

Amore che finisce.

2)

Le cose più belle

Le scrivono le rondini

Non i Poeti allevati

Tra le gabbie dell’Utopia.

Le cose più belle

Le scrivono i pazzi, i criminali, gli offesi

Non i Mandarini della Rivoluzione.

Le cose più belle

Le scrivono le foglie

Non gli uomini arrampicati

Agli alberi della conoscenza.

Io non sono rondine, né pazzo, né foglia

Per questo non so scrivere

Le cose più belle.

                       Marcello Buttazzo