di Marcello Buttazzo –

Luigi Palazzo è un giovane avvocato, autore di contributi giuridici su riviste specifiche, innamorato della poesia. Lui scrive per passione, per sollecitare se stesso e il lettore al viaggio. All’eterno e infinito viaggio del vivere. Palazzo ha da poco pubblicato, per Manni Editori, nella collana Occasioni, la sua prima raccolta di versi “Non raccontarmi il cielo”. Un florilegio elegante, che scorre, fluisce, piacevolmente. Si tratta d’una poesia antropologica, che ha come fulcro gli umani con le loro vicende ordinarie, con le loro storie dolenti, con le sconfitte, con le cadute, con le risalite. Una poesia per niente cerebrale, priva di orpelli, prima di faticosi manierismi. Una poesia lineare, ben curata nella forma, originale, che reca la cifra identitaria dell’autore. È una poesia d’un sentito impeto civile, perché gli ultimi, i diseredati, i feriti dalle turbolenze dell’odierno tempo dell’usa e getta, vengono tratteggiati nella loro aura desolata e di splendore. Di vibrante protesta è la denuncia di Palazzo contro la odierna società ipercapitalistica, che predilige l’apparire all’essenza inerente, che fa feticcio del denaro, del potere. Una società, la nostra, che si piega ancora a iatture, tipo la fame e le guerre. Ma quella di Palazzo è, soprattutto, poesia d’amore. Amore inteso come melanconia. Amore è la donna pakistana che fissa innamorata la figlia senza braccio. Amore di colpo esploso nella faccia, nel volto della nonna del poeta. Nello sguardo fermo d’una donna, nei suoi occhi onesti. Bellezza umana nelle mani di fatica d’un vecchio contadino, che misura gli anni. Candore di giglio nelle storie dei tanti irregolari. Gli sconfitti soccombono, intanto il mondo gira sempre allo stesso modo. Amore rossosangue, di corde gentili, nella vita di Linda, 50enne, che vive in una comunità di recupero. Struggimento per una diciottenne addolorata. Luigi Palazzo sa lavorare benissimo sul verso, sull’incedere e procedere del ritmo, sulla musicalità, con un registro linguistico affidabile e autentico, naturale. Non ha bisogno di trovate strabilianti per rendere una sonorità rimarcabile. Ho molto apprezzato questo libretto. Di certo, “Non raccontarmi il cielo”, nella sua valenza più precipua, è una silloge d’amore. Particolarmente delicate, come soffio di luna, alcune liriche che rappresentano l’inesauribile storia dei viventi. “Altri cent’anni, amore, altri cent’anni, tenendoti per mano verso il mondo volentieri ogni domani, ogni alba ed ogni ruga, ogni alba ed ogni lacrima, ogni lacrima e sorriso”. Ed ancora… “E sono troppo grandi gli occhi tuoi, che ogni lacrima è un mare e ogni mare è dolore immutabile, è gioia piena, ogni battito di ciglia è battito vitale”.  Palazzo, per l’innanzi, si lega intimamente alla realtà, che ovviamente trasfigura in parte con la sua lente fantasiosa, immaginifica. Un leitmotiv è la malinconia e, a volte, un male di vivere, che però non è invalidante, perché l’autore sa riscattare e mutuare ampiamente con la illesa umanità dei suoi protagonisti. È poesia vera, quella di Palazzo, perché leggendo i suoi versi armonici non avvertiamo solo l’espressione e il riverbero d’un sommovimento interiore, ma uno sguardo levato al cielo alto. Coi i piedi ben piantati sulla terra. Luigi Palazzo sa parlare al lettore e lo invoglia alla lettura, alla meditazione.

Marcello Buttazzo