di Marcello Buttazzo –

Canta Alda Merini:

Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.

Il 21 marzo è la Giornata mondiale della poesia. Il 21 marzo di 91 anni fa nasceva a Milano Alda Merini, che oggi riposa nel Famedio del Cimitero monumentale, tra i milanesi più illustri. Abbiamo molto amato la grande poetessa dei Navigli, anche prima che diventasse una celebrata icona pop. Nei suoi versi troviamo una sincera spiritualità, una rossa e vibratile carnalità, una devozione al divino, all’umano, e “alla maestra poesia”.  Nelle sue prime raccolte degli anni ’60 è prorompente una grande eleganza stilistica. Ne “La Terra Santa” del 1984, Merini descrive l’esperienza manicomiale con un lirismo altissimo e amaro:

Ho acceso un falò
nelle mie notti di luna
per richiamare gli ospiti
come fanno le prostitute
ai bordi di certe strade,
ma nessuno si è fermato a guardare
e il mio falò si è spento.

Poetessa degli ultimi, dei barboni, era solita distribuire generosamente i guadagni ottenuti con i suoi libri ai diseredati che frequentavano i Navigli. Ai barboni Titano e Charles ha dedicato versi memorabili:

Charles Charlot Charcot,
rimembranza dolce,
vieni tu dall’Andalusia,
vieni tu dal miraggio segreto
del florilegio dei sensi?
Charles, Charcot,
tu che hai nel duro cappello
le melodie del gioco,
sei giocoliere o amante?

Nel 1984, Alda Merini sposò il poeta e medico tarantino Michele Pierri e si stabilì per un certo tempo nella città pugliese. Al suo sposo anziano (lui aveva 85 anni, lei 53) dedicò versi stupendi d’un amore assoluto. Alda trovò anche il tempo di dipingere con la sua penna leggiadra e con un velo di nostalgia Taranto, che presto, dopo un altro rovinoso ricovero e dopo la morte di Pierri, abbandonò, tornando nella sua casa dei Navigli, a Milano:

Non vedrò mai Taranto bella
non vedrò mai le betulle
né la foresta marina:
l’onda è pietrificata
e le piovre mi pulsano negli occhi…
Sei venuto tu, amore mio,
in una insenatura di fiume,
hai fermato il mio corso
e non vedrò mai Taranto azzurra,
e il mare Ionio suonerà le mie esequie.

La vita della Marini è stata intensa, ricca di amori. Ha conosciuto Manganelli, Quasimodo, per i quali ha scritto innumerevoli poesie. Quando Alda aveva ancora 16 anni, Pier Paolo Pasolini la osannava e salutava con ardore “la giovane Merini”. Tantissimi sono i florilegi, gli slanci, gli scorci poetici della vita di Alda Merini. Vorrei ricordarne solo uno. Tanti anni fa, vinse un super premio di poesia, equivalente a migliaia e migliaia di euro di adesso. Decide di dissipare tutti i soldi, spendendoli in un elegante albergo a cinque stelle. Nell’albergo resto, però, solo poco tempo, prese il suo malloppo di soldi e andò a donarlo ai barboni, che s’aggiravano per i Navigli. 21 marzo, Giornata della poesia, primo giorno di primavera. Nel mio immaginario, vive un giardino di spine e giunchiglie. Al mattino colori rarefatti, vigoroso sole nel meriggio, crepuscolo d’amarena. Nel mio immaginario scorre amore, che va e s’addentra nel caos d’intorno, strappa profumi e fiori di campo a un giorno avaro di gioie. Un amore solitario per stradine di ciottoli e fango, promesse e rose d’inverno, dove s’incontrano vecchi ricordi, s’inoltrano nuove passioni. Un amore di singulti, gialli gigli, farfalle dalle ali d’oro, rammemorato nelle feste d’estate in ondeggianti campi di grano. Un amore, che va e non si cura di noi, inconsapevoli passeggeri ai margini d’un sogno. Tante volte pensai che non è uno scherzo l’amore nascosto, che ti ronza come un insetto. L’amore impetuoso, biancazzurro come mare d’inverno, stilla rossori. L’amore che sai riconoscere fra le fitte foglie che stormiscono al buio id immense, sconfinate foreste. L’amore come vento d’agosto, stremato dalle lunghe attese, che accogli come dono di Dio. L’amore, canto di cicale in campi sfiancati dall’estate, quando fra il giallo oro del grano occhieggiano rossi i papaveri. L’amore intravisto sotto segreti velari e poi miseramente svanito. Quest’amore, che sa di fuoco e ciclamini, che sa di sale e miele, di luna e violini. Quest’amore. Torna a fiorire la primavera e noi aspettiamo, pazienti, aurore di pace. Per tutti gli uomini e per tutte le le donne. Forse, in una contemporaneità ferita della guerra, il vento della poesia non basterà a disarmare la mano meschina e feroce dei potenti della terra.  Ma noi intanto, speriamo in giorni migliori.

Marcello Buttazzo