Il cipresso è caduto sulle tombe
mandando in pezzi lapidi e colombe
di marmo. Tutt’attorno c’è silenzio.
L’iscrizione con versi di Properzio
dice: la morte non tutto finisce.
Si posa un pettirosso e starnutisce

Pierluigi Lanfranchi insegna lingua e letteratura greca all’università di Aix- Marseille. Ha appena pubblicato un’affascinante opera dal titolo “Il tempo che trova” per i Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno, nella Collana Fuochi diretta da Ottavio Rossani. In copertina un acrilico su tela (Onde Subliminali) dello stesso Rossani. Lanfranchi predilige una scrittura con un taglio lirico di forte impatto musicale, con accordi, armonie nel lessico, con assonanze.

Sostenuti sono i rimandi mitologici e profonde le suggestioni zoologiche, botaniche, fisiche, analitiche, chimiche. Dal mondo organico a quello inorganico. A dimostrazione del fatto che non può esistere una frattura fra cultura letteraria e sapere scientifico: i due aspetti si possono compendiare in un unico delizioso scritto. Ed è poesia. Poesia che viaggia come un battello ebbro di splendore. L’autore, talvolta, cede volutamente ad un procedere un po’ più prosaico, ma non per segnare il passo. I suoi versi sono talmente ricchi di descrizioni di stati d’animo, di intensi sommovimenti esistenziali, che un procedere di prosa poetica e poesia canonica, alta, giova a creare un’alchimia di venustà.

Ne “Il tempo che trova” scorre come un flumen una galleria di personaggi.

Da Lucian Freud, che scruta a fondo la modella stesa sul letto, nuda ed impudica, con le gambe aperte, al pittore rinascimentale Lorenzo Lotto, che a volte dorme come il cardellino, il cane accanto al letto. Dal pittore e scultore svizzero di lingua italiana Alberto Giacometti, che in una stanza di ospedale a Coira viene lambito dalla Moira, potenza occulta a cui non si può resistere, fino al grande poeta russo Iosif Brodskij, che accartoccia il pacchetto di MS vuoto e lo getta a terra. Brodskij centauro e poi seduto al tavolo della cucina della nonna dell’autore. Ovviamente, gli incontri di Lanfranchi con il grande poeta russo possono essere solo onirici, frutto d’una fervente immaginazione. E poi ancora l’intellettuale Murray Pearson, Madame Guizard, vista per l’ultima volta l’anno dell’eclissi. E la giovane drammaturga e poetessa Laura Fidaleo, per la quale Lanfranchi prova una certa dose di melanconia perché assente. Se la donna fosse presente potrebbero promenarsi nel centro di Parigi.

Non può mancare un canto funebre dedicato ad un gatto rosso d’una amica. Il gattone ronronante, che in grembo alla padrona mostrava fino a che punto fosse sconfinato e totalitario il proprio impero. Non può mancare un canto dedicato ad un giunco, albero antichissimo portato dalla Cina dagli immigrati, il fossile vivente che la musa indicava all’autore ogni volta che gli passavano accanto.

“Il tempo che trova” è anche un delicato Canzoniere d’amore, con versi dedicati al padre, la cui genetica scintilla nelle pupille del figlio di Lanfranchi. Tre sonetti redatti per il figlioletto Leo con i suoi piedini numero ventiquattro. E poi c’è la musa, l’eterna musa, che non tradisce mai che ispira l’apertura del giorno, che placa gli accadimenti negativi.
Nella poesia “Trame” si evoca una certa Betta, che è lontana. Il poeta si chiede: “Dove sei?”. La può riavere, Betta, nel riverbero dei versi, che possono essere perfino consolatori, salvifici, possono sostanziare presenze-assenze. Il tempo scorre ineludibilmente. Il tempo fluisce come un divenire continuo. E la vita può somigliare agli acini che la tempesta stacca dal grappolo e sparpaglia a terra. “Il tempo che trova” è un armamentario letterario di vita quotidiana.
A piazza Esedra, il cielo assembra nubi color catrame. Dall’asfalto sbocciano fiori d’acqua nel punto in cui le gocce precipitano. Il poeta mezzo fradicio corre al riparo sotto il tetto d’una edicola. Geografie umane balenano su un’isola del Nord, dove ad abbassare la media d’età degli isolani e rendere la demografia sostenibile provvedono frotte di bimbi e neonati di immigrati.
Mi ha colpito in alcuni frangenti della raccolta il palesarsi d’una sensualità matura, d’un erotismo vibrante, di ardenti corde, che s’aprono al sole con il vigore di ellebori blu ardesia, ringalluzziti dal tempo invernale. “Il tempo che trova” è uno spaccato di alta poesia, che si legge con enorme piacere, perché incentrato su un linguaggio raffinato e moderno, colto, senza mai però appesantire la pagina, rendendola intrigante all’occhio del lettore sitibondo di bellezza. Pierluigi Lanfranchi dedica il suo libro ad Alfonso Maria Petrosino, giovane poeta, che vive a Parigi e qui lavora come coordinatore ferroviario.

Marcello Buttazzo