di Marcello Buttazzo – Di sapori scarlatti, solitari e dolenti, m’incendio in ragione triste e umana. Di rose fanciulle rosseggio ancora. E il sangue di palpitante ricordo. E tu, mio conforto, di sospiri e sogni, colori e giorni, rincorse e strazi. L’immenso amore. Una gemma di pane e di odori è ancora la via paesana, che mi parla sempre di te, del tempo e dei celesti spazi. Cosa sei tu per me? Il risveglio ansioso e vitale, vibratile di viola, la notte con il suo sciame di stelle silenziose, la dolcezza di mia madre, la premura di mio fratello, l’accoglienza degli amici, delle compagne e dei compagni dell’incerta ventura, il gatto albino Jonnhy, la cagnolina che mi scodinzola per strada con la coda morbida e il muso di paglia. Ricordi? Il cane che scodinzola in piazza con il muso di paglia? In questi momenti estivi di solitudine, dialogare con te (cioè, di fatto, interloquire con me) mi fa sentire ancora vivo. Se non avessi questa capacità immaginifica di farmi delle domande e di darmi conseguenti risposte, forse sarei già morto. Sovente, l’universo esterno lo plasmiamo come meglio congetturiamo, lo adattiamo pedissequamente alle nostre smanie, alle “manie”. Per preservare l’amaranto ricordo, da tempo ti tratteggio rassicurante, un angelo di luce abbarbagliante, che segue il suo selciato, percorre il suo cammino. Dentro me avvampi in un moto di pura bellezza, come musa lontana e inaccessibile. Mi resta di te, inalterata e incorrotta, la rimembranza. Come eri soave, dilettevole, quando ti arrabbiavi. Un giorno, ti facesti seguire a piedi per mezza città marina. Imprudentemente e stupidamente, io avevo cominciato a fare artefatte illazioni sulle inutili e consumate vestigia del passato. Tu non raccoglievi, non raccoglievi. A un certo punto, stanca del mio blaterare, mi lanciasti addosso le auto della tua auto, e cominciasti a camminare freneticamente per i giardinetti della città marina periferica. Come eri bella. Come eri amabile, con quel tuo viso irato. Ti seguii per strade. Alfine ti raggiunsi, ti afferrai e ti schioccai sulla bocca il bacio più lungo del mondo. Precedentemente, sul lungomare, avevamo passeggiato innamoratissimi, abbracciati come al solito. La gente d’intorno e il cielo basso apprezzavano il nostro amore. Tu dicevi sovente: “Ma non vedi che tutti cospirano a favore del nostro amore?”. Era proprio così. Dopo l’arrabbiatura tornammo a casa. In fondo, come tu sostenevi, avevamo avuto “una piccola crisi di crescita”. Tutta la nostra storia amorosa, sentimentale, era un continuo incedere, procedere, un inarrestabile sviluppo. Cosa mi manca di te? Mi manca una donna cortese e vagamente “incazzata”, che si fa desiderare e inseguire per la città marina. Che romantica che eri. Tu, proprio tu, che eri nata per essere gioiosa e che, un giorno, mi desti per la via per “punirmi” piccoli pugni (i tuoi dolcissimi “pugnetti di fiaba”).

Marcello Buttazzo – 18 agosto 2017