di Marcello Buttazzo –

cucio
coriandoli
di parole.

ne faccio collane
per alleviare
il dolore.

nel silenzio di un
momento.

Venerdì 1 ottobre, presso il Museo Faggiano, a Lecce, s’è svolta la presentazione del libro “E se raccontassi” (i Quaderni del Bardo Edizioni) di Giuseppe Zilli. I versi sono accompagnati da illustrazioni, che danno un sapore particolare. La serata è stata molto piacevole, partecipata. Con l’autore hanno dialogato Stefano Donno e Maurizio Nocera. Era presente anche il sindaco di San Donato Alessandro Quarta.  Ad arricchire l’incontro, la musica e le parole di Enzo Marenaci, cantastorie salentino, con le sue melodie cantautoriali, attento sempre all’universo multipolare degli ultimi e di chi vive ai margini dell’osannata società dell’opulenza. Giuseppe Zilli è un pittore e uno scultore, appassionato di scrittura e di poesia.

Nei suoi paesi natali (San Donato e Galugnano), organizza frequentemente iniziative culturali di ampio respiro. La serata al Museo Faggiano s’è caratterizzata per l’essenzialità, per la frugalità, per l’andare all’essenza delle cose, senza giri di parole. E senza inutili ampollosità sono le poesie di Giuseppe: lineari, ridotte all’osso, alcune simili agli haiku giapponesi. “nei meriggi/ assolati/nascono mondi/; “un merletto/la tua voce, /tra erbe e rovi. / un filo/di vento/ il tuo occhieggiare/”.

“E se raccontassi” è un libro di poesie, redatte con l’inchiostro dell’anima, con pensamenti piani, senza alcuna ridondanza. Sono i versi d’un uomo, che, nella stagione della sua maturità, ha ancora la forza e il vigore di cercare il bello nel filo d’erba francescano, fra le pietre scoppiettanti di lenti brusii, fra la risacca delle cose semplici. Giuseppe approda alla poesia non casualmente. Il suo percorso è lento e paziente. Lui, tra l’altro, ha conosciuto alcuni grandi poeti, ormai deceduti, che hanno fatto la storia della letteratura del Salento. L’arte ha una sua circolarità, un eterno incedere, ha stagioni varie. Giuseppe ama scrivere versi e esprimere tramite la parola quel subbuglio d’artista, che da sempre gli naviga dentro. Segue il suo istinto. La passione, che lo conduce sulle strade d’una ricerca di verecondo raggio. Particolarmente emozionante è la poesia sul ricordo passato. Giuseppe evoca il tempo dell’infanzia, il profumo di pane appena sfornato, il saluto delle prime luci della giornata, i vestiti che sapevano di sapore di Marsiglia. E limpida, in questo tempo fanciullo, si staglia la figura del padre, che stanco tornava dal lavoro e disegnava i suoi ulivi con la penna bic. “La mia infanzia me la porto dentro, non l’ho mai lasciata”, canta l’autore. È questo, forse, il miglior accorgimento, quello più atteso e produttivo, per perseverare a redigere versi. Continuare a riempire di cure e vezzeggiare quel fanciullo innocente, sitibondo di stupore e meraviglia, che alloga dentro di noi. L’infanzia, l’età ideale per ogni stagione.

e se raccontassi
i petali
in fiore

quando si guardano
e sorridono
al sole,

quando piegano le corolle
per salutare scarpe impolverate.
macchie di colore come

francobolli per spedire
il proprio stupore
oltre lo stupore.
                                           

Marcello Buttazzo